Il defibrillatore è uno strumento in grado di trasmettere una scarica elettrica controllata al muscolo cardiaco per ristabilire il ritmo dei suoi battiti in presenza di arresto o di alterazioni del normale ritmo del cuore.
Questo dispositivo, utilizzato in ambito medico-sanitario, può dunque interrompere un’aritmia utilizzando corrente continua che alimenta l’apparecchio con una bassa tensione, che può essere portata da 220 volt a 10-16 volt per mezzo di un trasformatore con alimentazione a rete.
Il defibrillatore è in genere alimentato da batteria ricaricabile, a rete o corrente continua a 12 Volt e composto da due elettrodi da posizionare a destra e sinistra del torace del paziente, mentre il nucleo centrale dell’apparecchio è utilizzato per l’analisi dei dati trasmessi.
Prima di quantificare voltaggio ed energia di scarica di un defibrillatore apriamo una piccola parentesi per capirne meglio il funzionamento e conoscerne la struttura.
Defibrillatore: tipologie e funzionamento
Il defibrillatore più comune è quello manuale, che si compone di due elettrodi per l’erogazione della scarica sul torace del paziente la cui modulazione di frequenza è delegata esclusivamente alla responsabilità del suo utilizzatore.
Il defibrillatore semiautomatico, a differenza di quello manuale, è in grado di funzionare in modo semi autonomo, effettuando uno o più elettrocardiogrammi del paziente per permettere agli operatori se intervenire o meno.
Quello automatico, invece, può essere direttamente collegato al paziente per procedere in autonomia e intervenire erogando lo shock al paziente in caso di arresto cardiaco.
Una quarta tipologia di defibrillatore è quello interno, uno stimolatore alimentato da batteria le cui ridotte dimensioni lo rendono impiantabile nel muscolo cardiaco, permettendo di registrarne le anomalie e intervenendo autonomamente con una scarica elettrica all’occorrenza.
Come è fatto un defibrillatore: i circuiti
I defibrillatori sono composti di due tipi di circuito, uno a bassa tensione ed uno ad alta tensione.
Il primo, di 10-16 V, alimenta tutte le funzioni, dai pulsanti al monitor ai microprocessori, mentre il secondo circuito riguarda il meccanismo di carica e scarica dell’energia di defibrillazione, che può arrivare a 5000 V.
Questi dispositivi sono inoltre dotati di resistenza interna, dove, manualmente o in modo automatico, a seconda della tipologia del defibrillatore, può essere scaricata l’energia accumulata dal condensatore.
Lo shock al paziente si trasmette in modo efficace quando viene azionato il pulsante di scarica, così si verifica la chiusura del circuito elettrodi-monitor e viene rilevato il tracciato dell’elettrocardiogramma.
Defibrillatore: voltaggio ed energia
Il defibrillatore, alimentato da batteria ricaricabile, ha un voltaggio che oscilla tra i 10 e i 16 Volt nel circuito a bassa tensione fino a raggiungere i 5000 V dell’energia di defibrillazione, mentre l’energia di scarica è generalmente pari a 150, 200 o 360 J.
L’energia richiesta per la scarica della defibrillazione nell’adulto può aggirarsi intorno ai 200 J nel caso di prima erogazione ma per il secondo shock può arrivare anche fino a 200-300 J.
Utilizzando la stessa energia si ottengono livelli di corrente più elevati una scarica dopo l’altra, mentre un innalzamento della corrente trasmessa si verifica con l’erogazione di quantità di energia superiori.
Qualora i primi due shock non risultassero efficaci per la defibrillazione l’energia da applicare con una terza scarica dovrebbe essere aumentata a 360 J.
Nel caso di applicazione costante di energia accumulata nel condensatore, la corrente erogata è strettamente legata alla resistenza o impedenza presente tra gli elettrodi del defibrillatore.
L’impedenza, infatti, non è altro che la resistenza al flusso di elettroni, misurata in ohm, mentre la pressione che spinge gli stessi elettroni viene definita potenziale elettrico, questo viene misurato in Volt.
La defibrillazione consente il passaggio di un flusso di elettroni per breve tempo attraverso il muscolo cardiaco ossia genera corrente, misurata in ampere.
In sostanza si verifica il passaggio di elettroni per pochi millisecondi attraverso il cuore per mezzo di una sostanza che genera resistenza e sotto una determinata pressione.
Per definire queste relazioni esistono alcune specifiche formule che possono essere così riassunte:
Potenza (watt)= potenziale (volt) x corrente (ampere)
Energia (joule)= potenza (watt) x durata (secondi)
Energia (joule) = potenza (volt) x corrente (ampere) x durata (secondi).
I rischi connessi all’uso del defibrillatore riguardano l’elevata impedenza, che ne riduce l’efficacia e favorisce la formazione di scintille tra elettrodi aumentando il pericolo di ustioni.
Ciò avviene in particolare nei pazienti in cui si genera uno scarso contatto elettrico per via della peluria, che favorisce la formazione di aria tra elettrodi e pelle oppure quando gli elettrodi sono a contatto tra loro o con eventuali bendaggi e cerotti.
Il rispetto delle norme di sicurezza è per questo motivo strettamente necessaria per garantire che il voltaggio del defibrillatore non sia potenzialmente pericoloso per la salute del soggetto trattato.
Fonte: https://energit.it/ |
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