La mia avventura o forse meglio disavventura? Fortuna o sfortuna?
Alcuni mi dicono: «Sei stato fortunato, sei ancora qui!».
Sì, ma a quale prezzo?
In tanti mi dicono «Sei fortunato ad essere ancora qui», e spesso mi sono chiesto – e ancora mi chiedo – perché debba vivere in questo modo; forse la fortuna avrebbe potuto “portarmi via con i miei genitori”. Sono un paziente a rischio; o forse meglio dire una persona che ha scoperto di avere una patologia ematica immunodepressiva nel mese di ottobre 2020 e che, in seguito, è sopravvissuta ad una forma grave di Covid.
Erano mesi che non vedevo i miei genitori e non avevo contatto con loro se non per telefono. Il primo gennaio 2021 ci eravamo sentiti per gli auguri di buon anno e in quell’occasione avevamo deciso di trovarci domenica 3 gennaio per un pranzo in famiglia. Quel giorno ci salutammo come si usava in quel periodo, gomito contro gomito, senza baci né abbracci, ci amareggiava, ma le regole erano chiare e non intendevamo infrangerle.
Purtroppo sì, quel giorno abbiamo “toccato” gli stuzzichini, i formaggi, i dolci e tanto altro. In quel momento non eravamo consapevoli del pericolo; eravamo felici di esserci riuniti e stavamo tutti bene. Il 5 gennaio, verso le dodici, mio padre mi chiamò comunicandomi che mia madre aveva la febbre e non si sentiva bene. Gli dissi di portarla subito a fare il test per il Covid e, poche ore dopo, arrivò la sentenza: mia madre era positiva.
Ci volle ben poco tempo affinché la «bestia oscura» – così chiamo questo virus – colpisse. Il giorno seguente anche mio padre iniziò a sentirsi male ed entrambi furono poi trasportati alla Clinica Luganese. Dopo un paio di giorni, nei quali venne confermata anche la nostra positività, iniziai ad avere febbre e una tosse sempre più insistente. Passarono pochi giorni e i miei genitori erano già in cure intense e intubati, il che mi preoccupava molto visto che era difficile, se non quasi impossibile, comunicare con loro. Iniziai ad indebolirmi, con una tosse sempre più insistente e la febbre che non si placava; tuttavia, dovevo restare lucido e attivo poiché dovevo essere presente nel caso i miei genitori avessero avuto bisogno di me.
Il 12 gennaio dovetti arrendermi: il mio medico di famiglia decise il mio ricovero a Moncucco e, dopo un primo rifiuto e varie esitazioni, accettai. Con il passare dei giorni, la mia tosse peggiorò e il mio respiro divenne sempre più corto. L’aria mi sembrava densa, quasi liquida, e respirarla era una sofferenza; il mio torace era rigido, come se avessi un peso che ne impediva l’espansione.
Il 16 gennaio fui trasferito nel reparto di cure intense poiché la mia respirazione peggiorava costantemente. Respiravo grazie a una maschera con serbatoio ma, nonostante i grandi volumi di ossigeno somministrati, mi sembrava di soffocare, quasi come se stessi per annegare. Nel tragitto verso le cure intense, vidi mio padre in un box e mia madre accanto, entrambi intubati e collegati al monitor e a vari macchinari. Sapevo che erano in condizioni gravi e temevo che mio padre potesse morire, ma i medici mi avevano detto che mia madre si stava lentamente riprendendo e si mostravano ottimisti.
Il 23 gennaio parlai con il dottore che mi curava, ci conoscevamo dai tempi in cui lavoravo in ambulanza.
La soluzione era intubarmi per qualche giorno per permettere ai miei polmoni di «riposare» e riprendersi da quella brutta polmonite. Accettai immediatamente, ero esausto, e dissi al medico: «Sì, fammi riposare», o qualcosa di molto simile.
Quanto segue mi è stato riferito dai medici, da mia moglie, dagli infermieri e dai miei parenti, perché tutta questa “avventura” la visse il mio corpo; la mia mente era assente, non partecipava a quanto stava accadendo. Nonostante fossi intubato e mi venissero somministrati tutti i medicamenti ritenuti validi per combattere il virus, le mie condizioni continuarono a peggiorare. L’ultima e remota chance di sopravvivenza era l’ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation).
Così, il 31 gennaio fui trasferito d’urgenza al Cardiocentro Ticino per sottopormi alla circolazione extracorporea. Fui collegato a questa macchina per ventun giorni. Non mi dilungherò con tutti i dettagli; chi fosse interessato agli aspetti medici di quanto mi è successo può consultare la pagina Rapporto medico sul mio blog. Fui sedato e ventilato meccanicamente fino al mese di marzo.
Tre mesi della mia vita svaniti, senza alcun ricordo di quei giorni, se non di allucinazioni e incubi; non so cosa fossero.
Erano molto reali, ma con tutti i medicamenti che mi venivano somministrati, non posso dire se in quei momenti ero sveglio o dormivo. Mi svegliai dopo tre mesi, incapace di muovere alcun muscolo, non riuscivo neppure ad alzare una mano dal letto, non potevo parlare perché avevo una tracheostomia che rendeva afona qualsiasi mia parola.
Ricordavo un corpo funzionante, che mi aveva dato tante soddisfazioni e che avevo messo alla prova più volte senza alcun problema; non mi aveva mai deluso e non aveva mai disatteso i miei ordini. Non lo conoscevo e lui non mi parlava, non mi raccontava nulla di sé; eravamo due estranei messi lì da qualcuno con un potere al di sopra del nostro volere e senza alcuna remora per la nostra sicurezza. Quale sarebbe stato il mio futuro con questo compagno sgangherato e con poche energie da spendere? Non lo sapevo. Sono passati quasi tre anni ma ancora non ho trovato una risposta a questo quesito.
Ho superato varie fasi di riabilitazione; è stata dura, ma con l’aiuto e il sostegno della famiglia sono riuscito a tornare a casa. Non sono più quello di prima, o meglio, il mio corpo non è più quello di prima. La malattia ha lasciato i suoi segni, segni che devo portare con me e che mi accompagneranno anche in futuro. L’aspetto peggiore di tutta questa avventura, oltre a quello di aver perso i genitori mentre ero sedato, è stato quello di non poter lavorare, non avere progetti lavorativi, non avere obiettivi da inseguire. Quanto ho vissuto in quei mesi, oltre a danneggiare il mio fisico, mi ha causato anche molti problemi psicologici.
Inizialmente volevo solo dimenticare, anche se, ad essere onesto, non ricordavo molto. Avevo il diario di degenza che gli infermieri avevano scritto per me, un diario dove infermieri e familiari annotavano quanto mi accadeva in quei giorni. Per molto tempo non ho avuto il coraggio di leggerlo, non volevo sapere, o meglio avevo paura di ciò che avrei potuto scoprire in quelle pagine.
Dopo più di un anno, iniziai a sentire il bisogno di confrontarmi con qualcuno che aveva vissuto un’esperienza simile alla mia; sentivo il bisogno di condividere quanto mi era accaduto con altre persone che avevano avuto un vissuto vicino al mio.
Carmen, infermiera delle cure intense al Cardiocentro Ticino di Lugano, mi aveva incoraggiato a scrivere un libro che raccontasse quanto mi era successo, dicendomi che la mia esperienza era straordinaria e che avrei dovuto condividerla pubblicamente; inizialmente non la presi sul serio, ma in seguito anche mia moglie mi propose la medesima cosa. Ci vollero parecchi mesi prima che decidessi; pensavo di aver dimenticato quanto avevo passato, ma poi, pian piano, alla sera prima di dormire, alcuni ricordi mi tornavano alla mente.
Invece di un libro, decisi di scrivere un blog dal titolo ECMO – Diario di una vita stravolta, un sito dove le persone con vissuti simili al mio possono condividere le loro esperienze lasciando suggestioni, testimonianze e commenti. La mia visione prima di questa “avventura” era che il Covid fosse una malattia infettiva che in alcuni casi poteva portare a complicazioni. La immaginavo distante, come per molte disgrazie che vedi in televisione al telegiornale e pensi «poverini», convinto che quanto succede agli altri sia lontano da te e che non possa colpirti.
Con il tempo ho compreso che quando si è provati da tanta sofferenza, le gioie che seguono sono più forti e autentiche. Rimane, nonostante ciò, il terrore di poter ricadere in quel buco nero e perdere quanto riconquistato con tanta fatica. In ogni caso, questo modo di vivere e di pensare mi sta aiutando a combattere il passato e ad affrontare il futuro apprezzando il presente, facendomi avvicinare all’avvenire con un pensiero propositivo. Ma devo essere onesto, mi capitano ancora momenti bui, momenti in cui tutto è nero e negativo, dove si vedono solo i lati oscuri legati allo stato fisico, psicologico e sociale, dove si sentono perennemente i dolori cronici e tutte le difficoltà psico-fisiche scolpite nel mio corpo dalla malattia.
Spero che questa mia testimonianza possa aiutare chi, come me, è stato investito da tanta sofferenza fisica e psicologica.
Fonte: https://www.rivista-smh.ch/ |
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