Riassunto
L’infarto del miocardio senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) è spesso considerato una sindrome minore rispetto all’infarto del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) e questo sembra avvalorato dai dati di mortaltà a 30 giorni nettamente peggiori per la popolazione STEMI. Nel lungo termine però la situazione si ribalta con indici di sopravvivenza peggiori per la popolazione NSTEMI. Una analisi dei dati delle due popolazioni mostra come le condizioni cliniche di base dei pazienti NSTEMI siano peggiori dei pazienti STEMI e mostra pure come una strategia invasiva di routine possa apportare informazioni indispensabili per un corretto inquadramento del paziente con conseguenze prognostiche positive rispetto ad una strategia più conservativa o selettiva basata invece su una stratificazione meramente clinica (GRACE score).
Introduzione
È diffuso convincimento che l’infarto del miocardio senza sopraslivellammento del tratto ST (NSTEMI) sia una sindrome minore rispetto all’infarto del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI): i risvolti di cio sono non trascurabili sulla percezione di rischio, sulla prontezza della cura e sulla efficacia della terapia.
Molti ritengono che il paziente STEMI abbia bisogno di una terapia riperfusiva immediata mentre il paziente NSTEMI può essere gestito “piu clinicamente”, stratificando il rischio attraverso algoritmi meramente clinici di previsione, come raccomandato dalle stesse linee-guida 2011 della Societa Eu ro -pea di Cardiologia.
Eppure e ben noto che il substrato fisiopatologico dei due quadri clinici e in genere lo stesso: una placca si complica ed il trombo si forma a chiudere parzialmente o completamente il lume; la quantita di trombo puo variare in fasi successive nello stesso paziente con sistemi pro fibrina o fibrinolitici naturali che si fronteggiano in rapporto alla complessiva vulnerabilita protrombotica del paziente ed alle terapie antitrombotiche messe in atto dal medico.
Scopo di questo articolo e portare dati e ragionamenti sulla gravità dello NSTEMI ipotizzando che esso non solo non è una sindrome minore rispetto allo STEMI ma può addirittura comportare, nel follow-up, un rischio superiore in termini di re-infarto e morte.
La conseguenza di cio e un aumento di consapevolezza del rischio, un comportamento piu tempestivo e meno attendista a prescindere dagli algoritmi clinici, un ricorso sistematico alla coronarografia che andra attuata in alcuni casi in emergenza, in altri con urgenza, in altri casi con meno urgenza, ma possibilmente a breve distanza dall’evento, sempre comunque nell’ottica di non dimettere il paziente rinunciando alla conoscenza, salve le dovute eccezioni, di come e quanto e malato l’albero coronarico.
STEMI vs NSTEMI: popolazioni a confronto
Il BLITZ trial fotografa in maniera inequivocabile la differenza tra le due popolazioni i pazienti NSTEMI presentano una storia documentata di cardiopatia ischemica nettamente prevalente rispetto ai pazienti STEMI (44 vs 25%), una percentuale di pregresse rivascolarizzazioni ben superiore (13 vs 5.2%), una piu alta incidenza di scompenso cardiaco (9.1 vs 3.5%), una incidenza superiore di stroke (9.5 vs 6.8%) e malattia aterosclerotica periferica (12 vs 9.7%); la percentuale di pazienti di eta superiore a 75 anni era 31% nel gruppo NSTEMI e del 23% nel gruppo STEMI.
In altri termini il BLITZ trial (ma anche il GRACE trial), indicano che la sindrome coronarica acuta senza soprasvivellamento ST si presenta nell’immediato con un quadro meno allarmante ma anche in un contesto clinico generale di maggiore “malattia” per eta, episodi pregressi di ischemia cardiaca e cerebrale, storia di rivascolarizzazione.
Relativamente alla condizione delle coronarie lo studio KARIM (la cui peculiarita e che tutti i pazienti NSTEMI venivano sottoposti a strategia invasiva), mostra che una malattia monovasale era presente nel 38% dei pazienti mentre una malattia multivasale era osservata in circa il 60% dei pazienti con una incidenza di tronco comune del 3.5%.
Destino delle due popolazioni in ospedale, a 30 giorni ed a lungo termine
L’esame dei dati pubblicati sono concordi nell’indicare una prognosi peggiore nei pazienti STEMI nel breve termine, confermando la necessita di una cura riperfusiva immediata, possibilmente entro le tre ore mentre il paziente NSTEMI puo essere studiato e rivascolarizzato sempre in tempi brevi ma senza la spada di Damocle (tranne i casi a grave instabilita clinica) delle 3 ore dall’inizio dell’evento.
Il second Euro Heart Survey mostra che la mortalita ospedaliera e 2.5% nel gruppo NSTEMI e del 5.3 in quello STEMI; a trenta giorni le cose non cambiano con una mortalita salita al 6,4% nel gruppo STEMI e 3.4% in quello NSTEMI.
Una analisi piu approfondita mostra tuttavia dati alquanto sconcertanti a dimostrazione che il mondo reale e ancora piuttosto distante dal nostro mondo ideale: una PCI veniva eseguita solo nel 40-57% dei pazienti STEMI e molto meno nei pazienti NSTEMI (25-37%).
Non sorprende invece osservare che un intervento di cardiochirurgia era eseguito nel 2.9-3.4% dei pazienti STEMI e molto di piu nei pazienti NTEMI (5.4-7.4%) a dimostrazione ulteriore che la sindrome ischemica del paziente NSTEMI si realizza spesso in un contesto generalmente peggiore.
I dati del second Euro Heart Survey on acute coronary syndromes sono stai pubblicati nel 2006 e certamente qualcosa e cambiato ma e difficile immaginare che tutto sia cambiato.
Ad ogni modo il follow-up di lungo termine indica senza tentennamenti la interpretazione di maggiore gravita del contesto clinico del paziente NSTEMI con un ribaltamento delle posizioni: ad un anno la mortalita saliva, nello studio di Terkerlsen al 20.5% nei pazienti STEMI ed al 30.5% in quello NSTEMI.
Il trend dei dati si conservava a 4 anni nella curva di Kaplan-Mayer.
Cosa dicono o dovrebbero dire le linee-guida
Le linee-guida della Societa Europea di Cardiologia del 2011 pongono in classe III A la esecuzione di una coronarografia in pazienti NSTEMI classificati a basso rischio secondo il GRACE score 2. Ma qui si impone una considerazione di non secondaria importanza: le conclusioni di chi ha scritto le lineeguida si basano sui risultati degli studi randomizzati di confronto della strategia conservativa (dove il ricorso alla coronarografia e guidato dalla clinica) vs invasiva (dove tutti i pazienti NSTEMI effettuano una coronarografia).
Ma le conclusioni di questi studi non tengono conto dello spesso imponente fenomeno (lento nel tempo) del cross-over dei pazienti inizialmente assegnati al braccio conservativo e poi transitati per questo o quel motivo a quello invasivo: nel testo esplicativo delle stesse lineeguida il cross over potrebbe essere stimato tra il 28 e 58% dei pazienti del braccio conservativo.
Mutatis mutandis, seguendo la logica dell’intention to treat, gli studi attribuiscono ad un braccio (quello conservativo) i benefici dell’altro (quello invasivo).
E vero che il fenomeno del cross over non confligge per se con la logica dell’intention to treat, ma e pur vero che quando lo spostamento assume proporzioni cosi vistose viene da chiedersi se si tratta di due strategie veramente diverse o piu propriamente si tratta della stessa strategia attuata in tempi brevi o ritardati.
A dispetto di questo rilevante bias interpretativo confondente la valutazione dei risultati, appare di grande interesse osservare, nell’ambito NSTEMI, i dati di lungo termine delle due strategie invasive vs conservative analizzati in una recente metaanalisi: a 5 anni gli end points combinati mortalita-infarto non fatale incidevano nel 14.7 del gruppo invasivo e nel 17.9 conservativo (p = 0.02); la analisi multivariata mostrava che fattori indipendenti erano: diabete (OR = 2.06), precedente IMA (OR = 1,83), eta (OR = 1,29), depressione tratto ST (OR = 1,42), un BMI > 35 oppure < 25 e… udite udite la stessa strategia iniziale con un vantaggio indiscusso positivo a favore della strategia invasiva (OR = 0,76) a dimostrazione che la conoscenza precoce del dato coronarografico influenzava positivamente gli hard points di lungo termine in barba a qualunque valutazione clinica ed in barba a qualunque algoritmo di stratificazione.
Del resto credo sia leggittimo chiedersi se ha senso al giorno d’oggi, per un paziente colpito da una grave malattia quale l’infarto del miocardio, rinunciare ad informazioni vitali quali la conoscenza del numero di vasi lesi, della sede delle stenosi, della severita della stenosi, della tipologia della stenosi, della presenza o meno di una malattia del tronco comune?
E possibile rinunciare a queste informazioni a favore di uno score meramente clinico ?
A mio parere no anche in considerazione della ampia disponibilta della metodica coronarografica sul territorio nazionale e del suo basso indice di pericolosita. Questo Bug di indicazione non viene nemmeno vicariato dal suggerire una coro CT in fase di dimissione o nel mese successivo; a questo riguardo le linee-guida pongono in classe IIA la coro CT solo in fase di screening iniziale nei pazienti a bassa probabilita di cardiopatia ischemica.
Considerazioni conclusive
A mio modo di vedere e erroneo ritenere che il paziente NSTEMI sia affetto da una sindrome coronarica acuta minore rispetto al paziente STEMI: in linea generale tra l’uno e l’altro deve variare la tempestivita della diagnosi e della terapia ma non la tipologia delle stesse.
Mutatis mutandis sembra a me necessario (spero le linee-guida non si offendano) inserire nell’iter diagnostico ospedaliero del paziente NSTEMI un esame coronarografico giacche e noto a tutti che il maggior predittore prognostico del paziente coronaropatico e la conoscenza della presenza, numero, severita, sede delle stenosi oltre che la conoscenza, ovviamente non invasiva, della FE.
Avute le informazioni della coronarografia si aprira poi il capitolo se come e quando rivascolarizzare…ma questa… e un’altra puntata della stessa storia.
Fonte: http://www.sicoa.net – Dr.Eugenio Martuscelli |
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