Bambino maltrattato: La Responsabilità di riconoscerlo in Pronto Soccorso
Secondo il rapporto dell’Oms del 2013 sulla prevenzione del maltrattamento infantile più di 18 milioni di bambini e ragazzi sotto i 18 anni sono maltrattati in Europa. Ogni anno 852 morti fra i bambini sotto i 15 anni. Secondo questo rapporto la prevalenza del maltrattamento è molto più elevata se consideriamo le diverse forme: abuso emotivo, abuso fisico, e abuso sessuale. Le bambine e le ragazze sono ancora le vittime più vulnerabili della violenza verso i minori, l’85% del totale dei casi di violenza sessuale verso i minori.
È preoccupante l’incremento dei reati di atti sessuali con minorenni, il cui numero delle vittime è triplicato rispetto all’anno precedente. Nel 78% si tratta di bambine e adolescenti. L’aumento più drammatico è la pornografia minorile: +370%, a danno di 108 minori, il 69% dei quali femmine. I maltrattamenti in famiglia sono ancora i reati che mietono maggiori vittime tra i bambini: 1.246 nel 2012, 82 in più del 2011.
In Italia l’abuso sessuale sui minori riguarda: violenza sessuale, atti sessuali con minore, corruzione di minorenne, prostituzione minorile, e pornografia minorile. Le vittime della violenza hanno un’età compresa tra 0 e 14 anni, sono di nazionalità italiana e, nella maggior parte dei casi, conoscono la persona che li molesta, spesso appartenente al nucleo familiare o ad esso vicina. I dati sono purtroppo sottostimati, in quanto il numero dei reati denunciati e accertati è inferiore rispetto a quelli effettivamente consumati, accertabili con le ricerche retrospettive.
Per violenza e abuso all’infanzia s’intende “Danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o maltrattamento negligente, al maltrattamento, alle diverse forme di sfruttamento e abuso sessuale intese come induzione e coercizione di un bambino in attività sessuale illegale, lo sfruttamento nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali, lo sfruttamento in spettacoli e materiali pornografici, torture o ad altre forme di trattamento o punizioni crudeli, inumane e degradanti, allo sfruttamento economico e al coinvolgimento in lavori rischiosi” (Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1989).
Il danno è maggiore se il maltrattamento rimane nascosto e non sia riconosciuto, se il maltrattamento sia ripetuto nel tempo con ritardo di intervento a difesa della vittima. Inoltre, se il vissuto traumatico non viene espresso ed elaborato, viene mantenuta la dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima e il soggetto maltrattante, e il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante sia di tipo familiare, si può determinare una profonda distorsione dell’organizzazione evolutiva, sotto molteplici aspetti.
Un consistente numero di episodi di violenze si verificano in ambito familiare o perifamiliare, attivando meccanismi difensivi di negazione e spostamento sia per il vissuto di vergogna che di angoscia distruttiva del gruppo di appartenenza. Gli autori dell’abuso spesso riescono a neutralizzare l’osservazione esterna (isolamento sociale; mantenimento del “segreto”) e la natura dei comportamenti violenti e le conseguenti implicazioni emotive ed affettive, rendono spesso difficile la denuncia da parte delle vittime in seguito ai ricatti morali attuati dall’abusatore, che alimenta un senso di terrore, colpa e vergogna nella vittima.
Il bambino teme fortemente le ripercussioni sul nucleo familiare, quali la disgregazione della propria famiglia o l’incarcerazione della figura responsabile dell’abuso; il mantenimento di tale situazione d’inibizione della vittima è conseguente ad una bassa autostima, mancanza di sicurezza in se stesso, blocco della capacità di esprimere i propri sentimenti e in casi estremi un’amnesia degli avvenimenti più disturbanti sotto il profilo psichico.
L’abusante
Nelle situazioni di abuso sessuale l’abusante è prevalentemente il padre, mentre sono entrambi i genitori nelle situazioni di trascuratezza, maltrattamento psicologico e fisico nelle situazioni che pongono a rischio la sicurezza del bambino.
La madre è responsabile prevalentemente delle situazioni di trascuratezza, di abuso psicologico e di ipercuria, mentre altre figure parentali quali nonni, fratelli, parenti, conviventi del padre o della madre, persone sconosciute sono scarsamente presenti in tutte le forme di violenza ad eccezione dell’abuso sessuale.
Classificazione delle forme di abuso all’infanzia
Il termine abuso all’infanzia, corrispondente all’espressione inglese child abuse, comprende in realtà diverse forme di abuso, definite e classificate sulla base di quanto clinicamente osservato nei bambini vittime di abuso. La Società Italiana di Neurologia e Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA, 2007) classifica le forme di abuso in quattro categorie:
- Maltrattamento, sia fisico che psicologico;
- Patologia delle cure, che comprende l’incuria, la discuria e l’ipercura;
- Abuso sessuale, sia intrafamiliare che extrafamiliare;
- La violenza assistita (o “abuso assistito”).
Maltrattamento
Vi è maltrattamento fisico “quando i genitori o le persone legalmente responsabili del bambino eseguono o permettono che si producano lesioni fisiche, o mettono i bambini in condizioni di rischiare lesioni fisiche” (SINPIA, 2007). In base all’entità delle lesioni, il maltrattamento fisico viene classificato come: di grado lieve, se le lesioni non necessitano di ricovero per essere curate (lesioni fisiche o ferite accidentali, percosse senza gravi traumi); di grado moderato, quando invece è necessario il ricovero (ustioni intenzionali, fratture, traumi cranici); di grado severo, quando il bambino necessita di rianimazione rischiando gravi sequele neurologiche o addirittura la morte come della sindrome del bambino scosso (Shaken Baby Syndrome).
Il maltrattamento psicologico si concretizza in azioni od omissioni, giudicate psicologicamente dannose per il minore, messe in atto individualmente o collettivamente da persone che per età, cultura e condizione sociale siano in posizione di potere rispetto al medesimo. Tali comportamenti possono danneggiare anche in modo irreversibile lo sviluppo affettivo, cognitivo, relazionale e fisico del bambino e includono: gli atti di rifiuto, di terrorismo psicologico, di sfruttamento, d’isolamento e allontanamento del bambino dall’ambiente sociale.
Abuso sessuale
Per abuso sessuale s’intende il coinvolgimento agito da parte di adulti in attività sessuali con soggetti immaturi e dipendenti, quindi privi di una completa consapevolezza e/o possibilità di scelta, violando tabù familiari o differenze generazionali.
A seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante, si parla di abuso sessuale intrafamiliare se l’abusante è un familiare (padre, madre, fratelli e sorelle, zii, nonni, cugini); si parla invece di abuso sessuale extrafamiliare se l’adulto è una figura estranea al nucleo familiare (sconosciuti, conoscenti, baby-sitter, vicini di casa, insegnanti, bidelli, religiosi, amici di famiglia ecc.).
I segni clinici di abuso sessuale possono essere correlati ad abrasioni o ematomi sulla parte interna delle cosce e sui genitali, abrasioni sulle labbra, lesioni perianali, irritazioni dei genitali esterni, infezioni urinarie ricorrenti, segni di malattie a trasmissione sessuale.
Perché si configuri un abuso sessuale, non è necessario che si tratti di atti sessuali completi, essendo comprese anche attività quali carezze e toccamenti continuati e ripetuti nel tempo, in cui il minore assume il ruolo di oggetto di soddisfazione sessuale da parte dell’adulto.
Nell’ambito degli abusi sessuali intrafamiliari si possono distinguere ulteriormente tre diversi sottogruppi:
- abusi sessuali manifesti (ad esempio sfruttamento sessuale e/o pornografia);
- abusi sessuali mascherati: pratiche genitali inconsuete e abuso assistito;
- pseudo abusi (o falsi positivi).
- Pratiche genitali inconsuete: si intendono “i lavaggi dei genitali, le ispezioni ripetute (anali, vaginali), le applicazioni di creme che nascondono a volte gravi perversioni o strutture fobicoossessive o psicotiche dei genitori responsabili dell’erotizzazione di questi comportamenti connotati da una forte intrusività sessuale che danneggia gravemente la coscienza corporea del bambino. Questi abusi si accompagnano talvolta a macchie discromiche nell’area anogenitale dovute all’applicazione incongrua di pomate e creme vaginali, alle abluzioni o ad alterazioni fisiche e infezioni ricorrenti” (Linee guida SINPIA, 2007).
- Abuso assistito: “far assistere i bambini all’attività sessuale dei genitori, non come fatto occasionale ma su precisa richiesta dei genitori stessi. In altre situazioni più complesse e più perverse il bambino viene fatto assistere all’abuso sessuale che un genitore agisce su un fratello o una sorella” (Linee guida SINPIA, 2007).
- Pseudo abusi: sono caratterizzati da falsi positivi in quanto non sono state realmente compiute forme di abuso. Il genitore può avere l’errata convinzione che il figlio sia stato abusato, oppure può fraintendere le parole dette dal minore; in altri casi il minore può avere dichiarato fatti non veritieri. Inoltre, uno dei coniugi può consapevolmente accusare l’altro, usando l’accusa in maniera strumentale nell’ambito di procedimenti di separazione legale fra gli stessi.
Violenza assistita o abuso assistito
La violenza assistita è una forma di maltrattamento spesso minimizzata o difficile da riconoscere. Tale fenomeno può essere ricondotto all’ambito del maltrattamento psicologico caratterizzato dalla ripetizione di modelli comportamentali o relazionali che trasferiscono sul bambino l’idea che vale poco, di non essere amato, non è desiderato; anche le azioni verbali di biasimo protratto, d’isolamento forzato, di disparità e preferenze verso i fratelli, minacce verbali possono essere considerate forme di violenza assistita. Inoltre, non meno dannoso, consentire che il bambino assista alla violenza e ai conflitti tra i genitori o sia spettatore di aggressioni fisiche di un genitore nei confronti dell’altro o dei fratelli.
In Italia il CISMAI (2000) definisce ampiamente la violenza assistita come categoria di maltrattamento all’infanzia: “Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. S’include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici.
Il bambino con sospetto abuso/maltrattamento in pronto soccorso: come riconoscerlo?
Il PS pediatrico rappresenta l’osservatorio privilegiato di abusi e maltrattamenti per l’elevato numero di accessi per trauma, tuttavia, spesso, queste tipologie di bambini non sono riconosciute.
In uno studio condotto su 171 casi di lesione ano-genitale da penetrazione o trauma, solo in 25 casi (14,6 %) sono stati evidenziati a distanza reperti diagnostici riferibili all’abuso (Astrid & all, 2003).
La frequenza reale non è nota ma è sicuramente sottostimata; tra i motivi principali di questa sottostima vi sono (Reale, 2011):
- elevata affluenza di pazienti;
- insufficiente formazione dei medici e infermieri di PS;
- assenza del rapporto di fiducia con il bambino e i genitori;
- carenza di privacy;
- incertezza nella sua delimitazione, in ambito fisico e psichico;
- mascheramento da parte degli aggressori e della famiglia ed anche da parte della vittima stessa;
- resistenza psicologica ad ammettere un fenomeno ritenuto aberrante.
Accertare un caso di maltrattamento/abuso sul minore significa operare un intervento delicato e complesso che presuppone un alto grado di competenza e professionalità in ciascuno degli operatori che, pur in compiti e con modalità diverse, ne prendono parte. Presuppone inoltre un buon livello di coordinamento e collaborazione tra le diverse aree di pertinenza e la capacità di operare con un’ottica allargata che tenga in considerazione contemporaneamente aspetti fisici e psicologici, aspetti individuali e relazionali, che valuti, insieme, la vittima potenziale ed il suo potenziale abusante. Sarebbe auspicabile, in tal senso, che il singolo professionista che si occupa di un caso di minore maltrattato abbia conoscenza generale del problema sotto le diverse prospettive (fisico, legale, psicologico, ecc.) pur nella specificità del suo ruolo. Occorre, inoltre, che abbia chiari gli obiettivi che guidano l’accertamento di maltrattamento/abuso.
Allo scopo di delineare un profilo delle competenze infermieristiche per riconoscere segni di maltrattamento e/o abuso infantile, abbiamo condotto una indagine nazionale sugli infermieri che operano presso i o nostri Pronto Soccorso pediatrici e generali con l’obiettivo di dimostrare il fabbisogno di una formazione specidica. L’acquisizione di competenza, anche su questo delicato e aberrante problema – di cui le vittime sono i bambini – deve essere considerata un dovere etico-morale a difesa e tutela della salute fisica e psichica di soggetti non in grado di difendersi. Speriamo presto di mettervi al corrente dei risultati di questa indagine.
Fonte: http://www.medicinadurgenza.org/ – Pierluigi Badon. Infermieristica in pediatria e neonatologia. |
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