Un infarto miocardico può distruggere la vita o dare una seconda opportunità, proprio come nel caso di Peter che abita nel canton Turgovia. Ha 46 anni, il responsabile di una filiale Migros è sopravvissuto a due infarti e oggi si sente meglio che mai. Ecco, dunque, la sua testimonianza.
«Non mi sono mai ammalato gravemente, fino al 3 dicembre 2014. Da allora prendo medicamenti e lo farò per il resto della mia vita. Malgrado tutto, la qualità della mia vita non è mai stata così buona. Sono sopravvissuto a due infarti miocardici e sono più felice che mai. Quando ho avuto il mio primo infarto, non mi sono affatto accorto che stava arrivando. Dolori al petto, vampate di sudore… Pensai di avere una costola schiacciata o che mi stessi prendendo l’influenza. Il mio dottore era più preoccupato di me. Presi la macchina e per strada i dolori peggiorarono. Erano così forti che avrei voluto solo morire. In quel momento pensai ai miei figli e a mia moglie. Dovevo restare in vita! Un giorno avrei voluto pur accompagnare la mia figlioletta all’altare! Nonostante i dolori lancinanti mi costrinsi a proseguire, aprendo i finestrini, alzando il volume della musica, il tutto per non svenire. Dal dottore sono collassato a terra. Rianimazione, ambulanza, intervento d’urgenza con impianto di due stent. Qualche minuto in più e sarei morto.
Il check-up non aveva rilevato anomalie
Io, un infarto? Eppure mi ero fatto fare un check-up poco tempo prima. L’ironia è che mi ero sottoposto ai controlli perché una mia collaboratrice aveva avuto un infarto. La sua esperienza mi aveva fatto riflettere. Smisi subito di fumare. Forse un cambiamento troppo brusco dopo vent’anni? Il mio sovrappeso, niente sport (se non allo schermo del televisore), il mio passato genetico (mio padre era morto d’infarto miocardico) e un equilibrio tutt’altro che sano tra il lavoro e i momenti di riposo hanno fatto il resto.
Alcuni giorni dopo l’intervento d’urgenza, sono stato rioperato e mi sono stati impiantati il terzo e il quarto stent. Una settimana dopo l’infarto tornai a casa. Durante la riabilitazione ambulatoriale ho imparato a vivere più sano, sia fisicamente sia psicologicamente. Ho migliorato la mia condizione fisica, ho perso peso, mi sono fissato delle priorità e ho riorganizzato la mia vita quotidiana. Senza la mia famiglia non ce l’avrei mai fatta. Ricominciai a lavorare mezza giornata già a un mese dall’infarto. Questo mi diede forza. Ora conduco uno stile di vita completamente diverso: mi alleno due volte alla settimana all’ergometro, mi incontro una volta alla settimana con un gruppo sportivo cardiologico, mi concedo dei riposini, mangio sano, mi godo con più consapevolezza ogni momento della mia vita. Il nuovo Peter piace anche alla mia famiglia. Nonostante gli intensi impegni di lavoro e di allenamento, trascorro più tempo con loro.
Secondo infarto a causa di un’occlusione dello stent
Un anno dopo ho avuto il secondo infarto miocardico: trombosi dello stent, ossia una formazione di un trombo all’interno dello stent. Uno shock. Perché anche questa ora? L’elettrocardiogramma da sforzo era andato benissimo, avevo perso 26 chili e mi sentivo in piena forma. Il mio medico mi disse che un caso del genere era così raro come fare sei al lotto. Avevo semplicemente avuto sfortuna, ma grazie alla mia buona forma fisica il mio cuore non aveva subito ulteriori danni. Oggi, anche se con cinque stent, sto bene.
Poco tempo fa, andando al lavoro, mi sono fermato spontaneamente ad ammirare le prime luci del mattino. Due anni fa, ci sarei passato davanti senza farci neanche caso. Ma sapete quale pensiero occupava di più la mia mente dopo il primo infarto? Quel famoso mattino di dicembre avevo a malapena salutato i miei figli e mia moglie. Oggi mi pento anche di aver fatto pochissimo sport in passato. Devo la svolta data alla mia vita anche alla psicologa che mi seguiva all’epoca al reparto di cure intensive. ‹Deve considerare l’infarto come qualcosa di positivo›, disse. E quanto aveva ragione…»
Il legame tra cuore e psiche Mary Princip, esperta in psicoterapia all’Inselspital di Berna, parla delle conseguenze psichiche legate a un infarto miocardico. «Lo stress e i problemi psichici favoriscono un infarto miocardico e, a sua volta, un infarto miocardico può mettere la psiche a dura prova. L’infarto mette in discussione l’identità di un individuo: le capacità, la professione, la sicurezza materiale, gli hobby e i progetti di vita cominciano a vacillare. I pazienti devono elaborare l’evento vissuto, trovare nuovi punti di riferimento e accettare la malattia. Attraversano fasi di repressione, sensi di colpa, rabbia, tristezza e gratitudine perché gli è stata data l’opportunità di vivere una seconda vita e di capire l’origine dei sintomi accusati per tanti anni. Il modo con cui un individuo gestisce l’infarto e le sue conseguenze dipende da diversi fattori: le circostanze dell’evento, i fattori socio-demografici, la personalità, il sostegno sociale. gli antefatti e la percezione della malattia. I mezzi che possono aiutare una vittima d’infarto sono molto personali. Da dove attinge questi la forza? Cosa gli infonde un senso di sicurezza? Il contatto con la natura? La società? L’attività fisica? Senza un aiuto professionale non sempre è possibile superare l’evento vissuto. Il 20-30 percento dei pazienti colpiti da infarto soffre di depressione o di paure. Il 10-20 percento sviluppa un disturbo psicologico post-traumatico, ha pensieri negativi legati all’evento, adotta un comportamento evitante e presenta uno stato di maggiore agitazione. Tali effetti sono problematici perché la psiche influisce sul processo di guarigione e sulla prognosi dello stato di salute nel suo complesso. Una depressione raddoppia il rischio di un ulteriore infarto. La psiche è quindi un elemento importante della riabilitazione.» |
Fonte: http://www.helsana.ch/ |
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