Negli ultimi decenni si sta assistendo ad un crescente interesse nei confronti delle reazioni allo stress dei soccorritori ed in particolare dei disturbi post-traumatici a cui possono andare incontro.
Sebbene solitamente l’operatore in emergenza sviluppi una soglia di tolleranza abbastanza elevata nei confronti di situazioni che, occasionalmente o cronicamente, possono mettere a repentaglio il suo equilibrio psicologico, nondimeno il rischio di essere seriamente coinvolto nelle esperienze traumatiche delle persone che soccorre (traumatizzazione vicaria) deve essere tenuto in seria considerazione. Proprio per questa ragione prenderemo in esame sia le reazioni normali che le reazioni patologiche del personale di soccorso alle situazioni traumatiche. Le tematiche che andremo via via sviluppando costituiranno anche l’occasione di una critica radicale verso quella prassi consolidata, ma non certo corretta, per effetto della quale si tende a ritenere che il soccorritore sia sempre in grado di fronteggiare e superare l’impatto con qualsiasi evento traumatico, senza nessuna conseguenza sul piano psichico. Questo convincimento in molti casi porta il soccorritore a negare il proprio disagio impedendogli di prenderne atto, esprimerlo, chiedere aiuto, ecc. L’assoluta negatività di un atteggiamento di questo genere si evidenzia nella sua pienezza considerando che può comportare la totale assenza di risposta al disagio, allo stress e alle problematiche del personale di soccorso, di per sé importantissime, e nessuna attenzione alle ricadute che questo può avere sulla qualità della prestazione del singolo e dell’equipe.
REAZIONI NORMALI DEL PERSONALE DI SOCCORSO ALLE SITUAZIONI TRAUMATICHE
Fasi dell’intervento di soccorso e reazioni psichiche correlate
L’intervento di soccorso si articola in varie fasi, comunemente indicate come: Fase di Allarme, Fase di Mobilitazione, Fase dell’Azione e Fase del Lasciarsi Andare (Hartsougt, 1985) e che a ciascuna di queste fasi si associano specifiche reazioni del soccorritore, talvolta anche molto marcate, ma che vanno comunque considerate come reazioni normali a situazioni anomale. Passiamo ora all’esame dei fenomeni psichici vissuti dai soccorritori durante le varie fasi del soccorso, allo scopo di evidenziare la particolarità di ogni singola fase e la sua capacità di impatto emozionale sul soccorritore.
Fase di Allarme
La fase prende avvio dalla comunicazione di un evento critico grave, in cui bisogna intervenire. La comunicazione può assumere un forte connotato intrusivo, che monopolizza l’attenzione dell’operatore, attiva fantasie di inadeguatezza ed incapacità e crea un senso di smarrimento e confusione, che in alcuni casi può arrivare anche ad uno stato di shock.
Questa fase possiamo intenderla come fase dell’impatto, ed è caratterizzata dallo stordimento iniziale e dall’ansia, dalla irritabilità e dall’irrequietezza che caratterizzano la maggior parte degli operatori. Non mancano anche soccorritori in cui si determina una reazione più o meno grave di tipo inibitorio.
I soccorritori in questa fase di impatto vivono varie categorie di reazioni:
- reazioni fisiche (accelerazione del battito cardiaco, aumento pressorio, difficoltà respiratorie);
- reazioni cognitive (disorientamento, difficoltà nel dare senso alle informazioni ricevute e nel comprendere la gravità dell’evento);
- reazioni emozionali (ansia, stordimento, shock, paura per ciò che si incontrerà sulla scena dell’evento, inibizione in alcuni altri casi);
- reazioni comportamentali (diminuzione dell’efficienza, aumento del livello di attivazione, difficoltà di comunicazione).
Fase di Mobilitazione
Questa fase entra nel pieno della sua attuazione a man mano che, superato l’impatto iniziale, gli operatori si preparano all’azione. L’agire aiuta a dissolvere la tensione e lo stato di allarme, e l’interazione, necessaria per predisporre, coordinare ed avviare i piani di intervento, favorisce il recupero dell’autocontrollo emozionale. Concorre al recupero dell’autocontrollo anche il trascorrere del tempo che comporta la naturale attenuazione dell’impatto emotivo. In questa fase sono quindi presenti in tono minore la maggior parte dei vissuti e delle reazioni della fase precedente, ai quali si associano come preziosi fattori di recupero dell’equilibrio il trascorrere del tempo, il passaggio all’azione finalizzata e
coordinata e l’interazione.
Fase dell’Azione
La fase si caratterizza per il pieno passaggio all’azione, consistente nell’adoperarsi del soccorritore a favore delle vittime. In questa fase l’operatore è attraversato da momenti di gratificazione ed euforia relativi alle situazioni in cui si riesce a prestare soccorso, a momenti di profonda delusione, colpa, inadeguatezza, paura, etc., scatenati dalle circostanze in cui l’intervento non è tempestivo, non risulta efficace, o non è possibile, per inadeguatezza dei mezzi, insufficienza delle competenze, etc. La fase dell’azione assume caratterizzazioni molto differenti anche in base alla sua durata che, potendo variare da
alcune ore ad alcuni giorni od anche qualche settimana, determina differenti tipi e livelli di sintomi psichici e fisici legati all’esposizione allo stress traumatico. I vari tipi di reazioni che più spesso si manifestano in questa fase si possono raccogliere nelle seguenti categorie:
- reazioni fisiche (aumento del battito cardiaco, della pressione, della frequenza respiratoria, nausea, sudorazione, tremore, ecc.);
- reazioni cognitive (difficoltà di memoria, disorientamento, confusione, perdita di obiettività, difficoltà di comprensione);
- reazioni emozionali (senso di invulnerabilità, euforia, ansia, rabbia, tristezza, sconforto, apatia, assenza di sentimenti);
- reazioni comportamentali (iperattività, facilità allo scontro verbale o fisico, aumento dell’uso di tabacco, alcol, farmaci, perdita di efficienza ed efficacia nelle azioni di soccorso, ecc.).
La significatività dei disturbi a cui il soccorritore può andare incontro per la più o meno prolungata esposizione allo stress traumatico deve indurre i responsabili dell’organizzazione a prevenire un altro importante aspetto negativo di questa fase che consiste nella sottovalutazione dei bisogni del soccorritore e nella sopravvalutazione delle sue risorse.
Fase del Lasciarsi Andare
Questa fase è costituita dall’insieme dei vissuti che il soccorritore sperimenta nel periodo compreso tra la fine delle operazioni di soccorso ed il ritorno alla normale routine lavorativa e sociale. Due diversi ordini di contenuti emozionali caratterizzano questa fase.
Il primo è costituito dal carico emotivo che durante la fase dell’azione è stato represso, inibito e negato, per dare spazio all’attività di soccorso, ed è caratterizzato prevalentemente da ansia,delusione e rabbia.
Il secondo consiste, invece, in un complesso di vissuti indotti dalla separazione dagli altri soccorritori, e dalle attese positive o negative rispetto al ritorno alla quotidianità.
Tra i contenuti psichici negativi inibiti durante la fase di azione, che trovano poi la forza di riemergere e manifestarsi nella fase del lasciarsi andare, particolarmente comuni sono: la difficoltà nel distendersi, nel rilassarsi, nell’addormentarsi, la tristezza, la tensione, il riaffiorare di episodi e vissuti particolarmente forti sul piano emotivo, la rabbia.
Tra le reazioni legate alle attese positive o negative verso il ritorno alla quotidianità lavorativa e socio-affettiva possiamo ricordare tanto il desiderio continuo di tornare a casa, quanto il timore della conflittualità con i familiari e con i colleghi, critici verso la scelta di prendere parte ai soccorsi, il disagio per il lavoro arretrato, i sensi di colpa verso il partner ed i figli, ecc.
LE REAZIONI PATOLOGICHE ALLE SITUAZIONI DI STRESS TRAUMATICO
Gli operatori che lavorano in un contesto di emergenza che maggiormente risultano esposti a stress post-traumatico sono i seguenti (Young, Ford, Ruzek, Friedman, Gusman, 2002):
· Personale medico e paramedico.
· Il personale delle ambulanze.
· Operatori di ricerca e salvataggio di superstiti.
· Operatori impegnati nel controllo degli incendi e della sicurezza.
· Il medico legale con il suo staff.
· Le forze dell’ordine.
· Militari.
· Volontari e giornalisti che operano sul luogo di incidenti e catastrofi.
Le situazioni di particolare rischio per il soccorritore sono le seguenti (Cusano, Napoli, 2003; Young et al., 2002):
1) Fattori di rischio oggettivi:
- Eventi che comportano gravi danni per neonati e bambini.
- Eventi che coinvolgono molte persone (dall’incidente stradale al terremoto).
- Eventi che causano lesioni gravi, mutilazioni e deformazioni del corpo delle vittime.
- Eventi che causano la morte di colleghi.
- Il fallimento di una missione di soccorso comportante la morte di una o più persone.
- La necessità di compiere scelte difficili e/o inadeguate al proprio ruolo operativo.
- La necessità di prendere decisioni importanti in tempi rapidissimi.
2) Fattori di rischio soggettivi:
- Tendenza eccessiva del soccorritore ad identificarsi con la vittima.
- Bisogno marcato del soccorritore di tenersi a distanza dalle vittime.
- Presenza di significative problematiche psicologiche del soccorritore e/o la presenza di traumi pregressi inelaborati.
- Mancanza di idonee strategie per fronteggiare lo stress e/o la mancanza di adeguate capacità di valutare la propria tolleranza allo stress.
- Scarsa conoscenza della normale risposta fisiologica e psicologica delle persone di fronte allo stress.
- Lesioni personali.
3) Fattori di rischio legati all’organizzazione:
- Ritmi di lavoro eccessivi.
- Inadeguatezze logistiche degli ambienti destinati ai soccorritori.
- Carenze nei processi di comunicazione.
- Conflitti interni all’organizzazione e tra soccorritori.
- Carenze nei processi di selezione e formazione degli operatori.
- Mancanza di programmi di supporto psicologico dei soccorritori.
I disturbi post-traumatici del personale coinvolto in situazioni di emergenza presentano, ovviamente, sovrapposizioni con gli stessi disturbi presenti nella popolazione generale, ma anche alcune specificità degne di particolare attenzione. Per illustrare questi tipi di disturbi verrà fatto ampio riferimento al sistema di classificazione psicopatologica attualmente più diffuso, ovvero il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVª edizione, Text Revision (American Psychiatric Association, 2000).
Il disturbo post-traumatico più ampiamente studiato e conosciuto è il Disturbo Posttraumatico da Stress (PTSD), che, in estrema sintesi, è caratterizzato dalla compresenza, per almeno un mese, di sintomi intrusivi, di evitamento e/o di ottundimento e di aumentato arousal (attivazione psicofisiologica) in seguito all’esposizione ad eventi traumatici di particolare gravità.
Per trauma il DSM IV-TR intende un’esperienza caratterizzata da entrambi gli elementi seguenti:
1) un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri;
2) la risposta della persona è stata la presenza di paura intensa, sentimenti di impotenza o orrore.
I sintomi intrusivi più frequenti sono i seguenti:
1) sogni o ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni.
2) Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
3) Disagio psicologico intenso o reattività fisiologica intensa all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
I sintomi di evitamento e/o di ottundimento più frequenti sono i seguenti:
1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma.
2) Sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma.
3) Incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma.
4) Riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative.
5) Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri.
6) Affettività ridotta.
7) Sentimenti di diminuzione delle prospettive future.
I sintomi di iperattivazione maggiormente frequenti sono i seguenti:
1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
2) Irritabilità o scoppi di collera.
3) Difficoltà a concentrarsi.
4) Ipervigilanza.
5) Esagerate risposte di allarme.
Il PTSD è frequentemente ma non necessariamente preceduto dal Disturbo Acuto da Stress (ASD) (per una review: Bryant, Harvey, 2000). Si tratta di un disturbo essenzialmente simile al PTSD, eccetto per il tempo di esistenza che lo caratterizza (deve manifestarsi entro quattro settimane dall’evento e durare da un minimo di due giorni ad un massimo di quattro settimane) e per il fatto che deve presentare molti più sintomi dissociativi. In particolare, i sintomi dell’ASD più altamente correlati con il successivo sviluppo di PTSD sembrano essere l’ottundimento emotivo, l’agitazione motoria, la depersonalizzazione e la sensazione di rivivere l’esperienza traumatica (ibid.)
Fra i più comuni disturbi dissociativi dell’ASD si segnalano i seguenti:
1) sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, o assenza di reattività emozionale.
2) Riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante (i.e. rimanere storditi).
3) Derealizzazione.
4) Depersonalizzazione.
5) Amnesia dissociativa.
Il PTSD e l’ASD sono tipicamente associati ad esperienze particolarmente traumatiche, anche croniche, nel personale di intervento in situazioni di soccorso e di emergenza, ma non sono probabilmente i disturbi post-traumatici maggiormente frequenti in questo tipo di popolazione. I Disturbi dell’Adattamento, invece, appaiono essere come maggiormente frequenti. Sebbene meno gravi sul piano sintomatologico, in realtà sono molto insidiosi perché possono essere più facilmente nascosti e camuffati, e magari non essere pienamente compresi anche dagli operatori stessi, portandoli a trascurare il disagio e quindi ad aggravare i problemi in essere. La caratteristica fondamentale dei Disturbi dell’Adattamento è lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali successivi all’esposizione ad uno o più eventi stressanti (anche traumatici) chiaramente identificabili. Tali sintomi devono svilupparsi entro 3 mesi dall’esposizione all’evento o agli eventi stressanti e devono risolversi entro 6 mesi dalla cessazione del fattore stressante o delle sue conseguenze. I sintomi principali possono essere problemi di ansia, depressione, impulsività, ritiro sociale, lamentele fisiche e, in generale, tutti i sintomi del PTSD e dell’ASD ma non tali per intensità, durata o numero da soddisfare una diagnosi di PTSD o ASD.
In realtà, sarebbe forse sarebbe più opportuno concettualizzare alcuni Disturbi dell’Adattamento come PTSD sottosoglia o in remissione parziale (Schützwohl, Maercker, 1999), considerando il fatto che in un operatore dell’emergenza può essere insorto un PTSD o un ASD che è solo parzialmente superato, ma magari cronicizzato, oppure che un tale problema non soddisfa pienamente quanto richiesto dal DSM IV-TR, problema importante per porre una diagnosi, ma che non riguarda l’aspetto della sofferenza soggettiva della persona coinvolta.
Infine, devono essere segnalati tutta una serie di sintomi e problematiche che difficilmente possono essere indicati con una diagnosi che li rappresenti esaustivamente, ma che nondimeno si rilevano problematiche con la maggior frequenza tra gli operatori dell’emergenza, siano essi professionisti o volontari:
– livelli di iperattivazione costante, con irritabilità, aggressività, difficoltà a rilassarsi, tensioni con familiari ed amici, insonnia o sonno poco riposante, disturbi gastrointestinali;
– stanchezza cronica o apatia;
– sensi di colpa ingiustificati;
– calo di appetito o iperfagia;
– calo della libido e disturbi sessuali;
– cinismo e senso di inutilità del proprio lavoro o della propria vita;
– abuso di sostanze (farmaci, alcol, stupefacenti);
– sentimenti di estraneità dalla vita “normale” e sensazione che l’unica dimensione all’interno della quale ci si sente adeguati sia quella dell’emergenza, eventualmente unita alla volontà di eroismo a tutti i costi.
I dati provenienti dalla ricerca più recente indicano chiaramente che i disturbi psicologici e psichiatrici sono ampiamente diffusi nel personale di soccorso. Ad esempio, utilizzando il General Health Questionnaire (GHQ), Ravenscroft (1994) ha verificato nel personale delle ambulanze di Londra una presenza di PTSD del 15%, ben al di sopra di quanto riscontrato nella popolazione generale, e nel personale dei Vigili del Fuoco è stata riscontrata la presenza del 16,2% di PTSD (Corneill, 1993). Nella ricerca di Ravenscroft (ibid.) l’applicazione del GHQ ha anche permesso di evidenziare la presenza di recenti disturbi o disagi mentali nel 52% del personale, la presenza di disturbi del sonno nel 25%, di avere difficoltà a “staccare con i pensieri” una volta terminato il lavoro nel 51%. La difficoltà a gestire pensieri intrusivi sembra particolarmente evidente, ad esempio, in personale che ha effettuato interventi di rianimazione cardiopolmonare con esito infausto (Genest, 1990). Una diversa indicazione del disagio presentato dagli operatori presentato in seguito all’esposizione ad eventi particolarmente coinvolgenti è il notevole aumento di richiesto di psicoterapia (Colen, 1978).
Prevenzione e cura. Alla luce dei fattori di rischio precedentemente accennati, si possono evidenziare le seguenti misure preventive e terapeutiche al fine di minimizzare il rischio dello stress post-traumatico negli operatori dell’emergenza o per intervenire su una condizione patologica in atto:
• Strategie generali:
– Selezione adeguata del personale.
– Ritmi di lavoro che consentano un adeguato riposo.
– Riduzione al minimo delle tensioni comunicative e politiche all’interno dell’organizzazione che opera in emergenza.
• Strategie rivolte a piccoli o a grandi gruppi:
– Spiegazione agli operatori delle modalità di manifestazioni più tipiche dello stress legato a lavori in contesto di emergenza al fine di non trascurarle.
– Insegnamento di semplici e rapide tecniche di rilassamento o di autoipnosi (i.e. Giannantonio, Boldorini, 2002).
– Utilizzazione di strategie di defusing e debriefing (Solomon, Macy, 2003) per gli eventi critici rivolte con regolarità agli operatori al fine di consentire una adeguata condivisione tra colleghi delle tensioni emotive connesse al proprio operato. Si tratta di specifici gruppi di discussione strutturati e coordinati da un esperto nella gestione degli eventi critici che contribuiscono a ridurre l’impatto emotivo delle esperienze con le quali ci si è confrontati. Interventi di questo tipo sono stati utilizzati recentemente, ad esempio, con il personale coinvolto di soccorso in occasione dell’attentato alle torri gemelle di New York.
• Interventi psicoterapeutici:
– Sono state create specifiche strategie di intervento psicoterapeutico per intervenire sull’operatore rimasto altamente coinvolto dagli eventi stressanti e/o nel caso in cui esperienze in emergenza avessero destabilizzato un equilibrio psicologico precario . A questo scopo, la psicoterapia ipnotica, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e alcune strategie cognitivo-comportamentali hanno dimostrato una buona efficacia (ibid.).
Fonte: http://web.mclink.it |
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