Overview del problema
L’arresto cardiaco in gravidanza è un’evenienza certamente non comune, ma che quando capita ci mette molta ansia. Le pazienti, infatti, sono molto giovani e di fatto abbiamo a che fare con due pazienti: la madre e il feto. La gravità, la complessità, e la rarità dell’evento, ci obbligano a prepararci regolarmente su questo scenario e rivedere ciò che andrebbe fatto.
Peraltro, è bene sapere che le statistiche mostrano un aumento di incidenza dell’arresto cardiaco in gravidanza (da 1:30.000 maternità a 1:20.000 mila), e che sempre più spesso capita di imbattersi in donne gravide in condizioni critiche o di periarresto. Non stiamo parlando di donne al 1° trimestre (dove sappiamo c’è il pericolo di una gravidanza ectopica), ma di pazienti alla 20 settimana o oltre che possono presentarsi in PS con un quadri critici.
La cosa è legata a un aumento delle malattie cardiache e dell’arresto cardiaco. Questa è una delle prime cose che le Linee guida dell’AHA ci segnalano. L’infarto miocardico è la causa primaria di mortalità materna in gravidanza, seguita dalla dissecazione aortica. Queste due condizioni hanno una incidenza superiore alla trombosi e alla tromboembolia polmonare. In effetti il rischio di IMA nelle donne in gravidanza è 3-4 volte quello di donne della stessa età e non gravide. Le ragioni sono molteplici. Da una parte il fatto che le donne con cardiopatie congenite sopravvivono più a lungo e arrivano all’età fertile. Dall’altra che le donne fanno figli in età più avanzata e, quindi, aumenta la possibilità che abbiano malattie cardiache aterosclerotiche.
Prevenzione
Forse vi sorprenderà, ma il documento comincia sottolineando l’importanza della prevenzione dell’arresto cardiaco. Dobbiamo riconoscere precocemente le pazienti a rischio. Alcune condizioni in particolare, presenti in gravidanza, sono possibili fattori contribuenti che dobbiamo riconoscere e trattare. Per ricordarli, viene suggerita una formula mnemonica (che per noi italiani non significa nulla): BEAU-CHOPS. Sia come sia, le i possibili fattori contribuenti sono questi:
Il primo, che credo facciamo tutti, è somministrare alla paziente ossigeno al 100%. Il secondo, è prendere un accesso venoso che sia al di sopra del diaframma, perché dobbiamo pensare che ci può essere una compressione aortocavale. Il terzo, riconoscere precocemente l’ipotensione arteriosa.
Su quest’ultimo punto ci soffermiamo un poco, vista la criticità sottolineata dall’AHA ed alcune credenze che abbiamo sul concetto di ipotensione nelle donne gravide, L’AHA sottolinea la criticità del riconoscimento precoce dell’ipotensione arteriosa, definendola come “PA sistolica (PAS) inferiore a 100 mmHg, o inferiore all’80% della PA basale”.
Noi abbiamo imparato che le donne in gravidanza, specie nel 2 trimestre, hanno la PA più bassa ed è quindi può sembrare difficile identificare le pazienti con ipotensione arteriosa. Le nuove Linee guida tagliano la testa al toro, perché ci dicono che, anche se la PA è più bassa a partire dal secondo trimestre di gravidanza, noi comunque in presenza di una donna gravida con un quadro clinico patologico (ovvero che non sta bene) lasciamo stare le teorie e prendiamo come limite di riferimento quello di 100 mmHg per la sistolica.
Non dobbiamo, cioè, sentirci rassicurati in presenza di una PAS di 90-95 mmHg se la nostra paziente è sintomatica. Già da qui dobbiamo dare dei fluidi per aumentare la volemia e avere le accortezze sulla posizione di cui parleremo ora.
Decubito laterale sinistro
Quelli accennati fino a qui sono i primi 4 dei 5 interventi chiave (Raccomandazioni di classe I, LOE C) riportati dalle AHA Guidelines:
1) Somministrare O2 al 100%;
2) Posizionare accesso venoso sopra al diaframma;
3) Verificare la presenza di ipotensione arteriosa e trattare una PAS 100 mmHg o 80% del valore basale 4) Verificare precocemente la presenza di cause reversibili (BEAU CHOPS) di condizioni critiche e trattare quelle che possono contribuire al deterioramento clinico;
5) Posizionare la donna in completo decubito laterale sinistro, per eliminare l’eventuale compressione della vena cava inferiore (che può essere responsabile di ipotensione e arresto cardiaco)
La posizione della donna è importante non solo nelle fasi di prevenzione, ma anche quando la paziente è già in arresto cardiaco. Sono, in realtà, diverse le cose da considerare e modificare nel nostro “ex-ABC” che oggi è chiamato “CAB”. Vediamole insieme.
Fase C
Posizione della donna
La posizione nella donna in gravidanza è un elemento critico. Da una parte dobbiamo essere sicuri che le compressioni toraciche siano efficaci, ma contemporaneamente è fondamentale l’utero non poggi sulla vena cava inferiore né sulla aorta.
Ci sono due modi raccomandati per ottenere questo: la dislocazione manuale dell’utero e il decubito laterale sinistro. Nel primo, la paziente è supina e si disloca manualmente l’utero. Come? Abbiamo due metodi a seconda di dove ci troviamo durante le manovre rianimatorie. Se siamo sul lato sinistro della paziente, si tira l’addome (utero) con due mani; se siamo dal lato destro della paziente, lo spingiamo con una mano.
Del decubito laterale sinistro, invece, le linee guida parlano ma riconoscendone i limiti. È un problema che abbiamo sempre nella donna nella seconda metà della gravidanza, in cui dobbiamo assicurarci che sia inclinata sul lato sinistro fino al completo decubito laterale sinistro raccomandato perché l’utero non comprima aorta e vena cava. Nella pratica clinica, però, con questa procedura troviamo diversi problemi sia ad ottenere delle compressioni toraciche adeguate (è infatti difficile effettuarle su una paziente in quella posizione), sia per evitare che la donna cada. Per questo, è meglio mettere la paziente sul dorso e fare lo spostamento laterale dell’utero, per lo meno in prima battuta.
La letteratura dimostra che ci sono grandissimi problemi a fare compressioni toraciche di qualità con la paziente inclinata di 30 gradi sul decubito laterale sinistro, ed è concreto il pericolo che la paziente cada dalla barella. Inoltre, è stato trovato che in una posizione inclinata a 15 gradi la compressione sulla cava e sull’aorta può essere perfino maggiore. Non stiamo dicendo di non farlo. La posizione in completo decubito laterale sinistro rimane la seconda migliore opzione, ma come prima scelta si deve preferire il displacement.
Sede delle compressioni toraciche
La presenza dell’utero modifica i rapporti anatomici e per questo le compressioni toraciche si fanno più in alto (1-2 spazi intercostali più su potrebbe andare bene).
Fase A
Qualcosa di particolare nelle donne in gravidanza la troviamo anche nella fase A. La gestione delle vie aeree nella donna in gravidanza può essere più complicata e, pertanto deve essere considerata “difficile”. Per questo l’AHA raccomanda che la gestione delle vie aeree venga fatta dalla persona più esperta. Questo va contro la tradizionale credenza che intubazione di una gravida sia un “prefetto” setting per l’apprendimento dei giovani medici. Oggi sappiamo, invece, che l’intubazione deve essere fatta dal provider con maggiore esperienza perché sono molti i case reports che raccontano di problemi di fallimento della intubazione in campo anestesiologico.
In gravidanza, infatti, c’è un aumento dell’edema e della fragilità della mucosa delle vie aeree, oltre a iperemia e ipersecrezione che portano ad avere un diametro minore delle vie aeree, Questo, insieme al fatto che la donna ha una riserva polmonare inferiore, crea un maggior rischio di desaturazione e di aspirazione.
Le Linee Guida, perciò, ricordano e raccomandano di fare una buona aspirazione e una buona ventilazione con maschera pallone, assicurando una pre-ossigenazione adeguata con ossigeno al 100% prima della intubazione.
Fase B
Una volta completata l’intubazione e messe in sicurezza le vie aeree, nella nostra donna in gravidanza l’utero è ancora là e occupa molto spazio. Il diaframma è più alto della norma e, per questo, la riserva polmonare è inferiore. Questo ci obbliga a modificare quello che facciamo solitamente, e settare il ventilatore tenendo conto di queste modificazioni fisiologiche.
Le donne in gravidanza hanno bisogno di volumi ventilatori più piccoli e magari di una frequenza respiratoria più alta. In pratica, riproduciamo i cambiamenti fisiologici che si osservano in gravidanza. Dato che queste pazienti hanno una FR più veloce (sono, infatti, spesso in alcalosi respiratoria) non le metteremo ad una frequenza “normale” di 16/min, ma più rapida e usando un Tidal volume ridotto.
Defibrillazione
Facciamo un passo indietro e torniamo alla defibrillazione. Cosa si fa di diverso in una donna in gravidanza? La cosa può capitare e non riguarda solo le donne in arresto cardiaco da FV, perché molte gravide sono predisposte alla TPSV e possono presentare un’instabilità emodinamica.
La defibrillazione deve essere fatta. Non ci sono ragioni per ometterla e non va ritardata per nessun motivo. Non solo, devono essere impiegate le abituali dosi raccomandate dall’ACLS. Ci sono però alcune accortezze, che derivano più dal buon senso che dalla letteratura.
La cosa riguarda l’ipotetico rischio che durante la defibrillazione si formi un arco elettrico quando il monitor fetale è attaccato. È per questo che le linee guida consigliano di togliere il monitor fetale prima di defibrillare (ovviamente se ne abbiamo il tempo). Alcuni case report (che si riferiscono, però, ad episodi di elettrocuzione accidentale) riportano diversi effetti sul feto che vanno dall’assenza di qualsiasi problema, a casi di morte fetale (sia immediatamente dopo lo shock che alcuni giorni dopo). Il punto da tenere in mente è che esiste un piccolissimo rischio di aritmia fetale, ma il punto in questione è che la cardioversione e lo DC shock sono considerate terapie sicure in qualsiasi stadio della gravidanza.
Farmaci
Non si sono cambiamenti. Anche se in gravidanza aumenta la velocità di filtrazione glomerulare e il volume plasmatico, i dosaggi dei farmaci dell’ACLS non devono essere modificati nell’arresto cardiaco. Usate le stesse dosi tipiche. Ricordatevi però che l’amiodarone è in classe D e quindi non usarlo!
PRIMO SCENARIO: Il circolo spontaneo non riprende
Allora, torniamo al nostro scenario. La paziente al terzo trimestre di gravidanza ha perso coscienza davanti a voi. Cominciate a fare le compressioni toraciche, spostando le mani due spazi intercostali più in alto rispetto al solito. Durante le manovre la paziente è in posizione supina, e un altro soccorritore disloca l’utero manualmente per non avere compressione aortocavale e assicurare ottimale ritorno venoso. Non esitate neanche un attimo a defibrillarle se indicato, né a cardiovertire una aritmia se è instabile. Diamo ossigeno al 100% se abbiamo tempo e, se indicato, il più esperto di vie aeree la intuba ventilando con un Tidal volume inferiore e una FR più alta.
Cosa facciamo se dopo queste nostre manovre, non abbiamo il ripristino del circolo spontaneo? Che cosa si deve fare secondo le Linee Guida? E dopo quanto?
L’intervallo di riferimento è quello di 4-5 minuti. Le LG dicono, infatti, che bisogna considerare il parto cesareo peri-mortem (C-section) dopo 5 minuti dall’arresto cardiaco della madre. La procedura, quindi, deve cominciare dal 4 minuto. In pratica, il BLS e le manovre rianimatorie devono andare avanti per 4 minuti, tempo oltre il quale si passa al cesareo d’urgenza se non c’è ripresa del circolo spontaneo.
I tempi sono strettissimi, ed è pre questo che l’AHA nella sue linee guida raccomanda che ogni Ospedale abbia un protocollo preordinato, che preveda l’attivazione di tutto il team multidisciplinare quando si ha notizia di un arresto cardiaco in gravidanza. Tutti devono essere sul posto, pronti ad operare nel caso sia necessario procedere al cesareo d’urgenza entro 5 minuti.
Ovviamente la raccomandazione della finestra dei 5 minuti pone dei problemi. Da una parte, è chiaro che non si devono aspettare per forza cinque minuti se sono presenti lesioni che evidentemente non fanno prevedere una ripresa, o se la prognosi della donna è molto severa. In questi casi, il cesareo può essere cominciato subito.
Dall’altra, non si sbaglia a dire che il target dei 5 minuti è quasi impossibile. Sono pochissimi, infatti, i report di chi ci sia effettivamente riuscito. Nonostante questo, però, la sopravvivenza della madre è riportata in cesarei peri-mortem effettuati entro 15 minuti, e casi di sopravvivenza entro i 30 minuti (l’evidenza dice che la migliore % ce l’hai se inizi entro 5 minuti, ed è per questo che intervallo consigliato è questo).
Il punto importante da capire qui è che se non fai qualcosa, e se non lo fai presto, moriranno sia la mamma che il bambino. Per il feto sicuramente la cosa migliore è essere tirato fuori, ma è anche vero che il parto cesareo è l’unica procedura che dà anche alla mamma la migliore chance di sopravvivenza…
Protocollo
Per poter fare il cesareo in queste condizioni, ripetiamo, l’esistenza di un protocollo istituzionale è fondamentale. In Pronto soccorso deve essere presente tutto il materiale per un intervento chirurgico, ma la procedura è veramente semplice e rapida. Prevede solo due tagli: uno sulla cute e l’altro sull’utero. L’obiettivo è tirare fuori il bambino prima che puoi. È una procedura effettuabile da un medico d’urgenza, contando poi su un chirurgo che ci aiuti a fermare il sanguinamento. Questa è una di quelle procedure che ti puoi leggere su un libro o in un video, per imparare le cose basilari. Statisticamente è veramente raro che ti capiterà di farlo e farlo da solo, ma sapere almeno teoricamente dove e come mettere le mani è fondamentale.
Chi è candidato al cesareo peri-mortem? La risposta non è semplice. L’elemento di base è chiunque ha la potenzialità di avere una compressione aorto-cavale, quindi le donne in gravidanza dalla 20 settimana in poi. Ricorda, quindi, che anche se il feto non è considerato vitale, si deve comunque fare il cesareo peri-mortem perché è la migliore chance per la mamma di farcela. Questo è importante capirlo e ricordarlo.
SECONDO SCENARIO: Ripristino del circolo spontaneo.
Nel caso più fortunato le nostre manovre rianimatorie riescono a far tornare un polso. Che facciamo? Oramai le Linee guida del 2010 danno molto spazio al post-cardiac arrest care con le varie precauzioni e l’ipotermia. Ma nella donna in gravidanza?
Abbiamo a disposiozione un case report che dimostra che l’ipotermia terapeutica può essere usata nella gravidanza precoce e nella paziente NON sottoposta a cesareo d’urgenza, con esito favorevole per mamma e feto.
Durante l’ipotermia è raccomandata la monitorizzazione continua per l’eventuale bradicardia fetale (che può essere una complicanza) e la collaborazione, ovviamente, con pediatri e ginecologi.
Attenzione però. Non c’è raccomandazione per l’ipotermia nelle donne sottoposte a cesareo d’urgenza per diversi motivi, compresi i problemi di coagulopatia che questa può comportare.
Quindi, l’ipotermia può essere presa in considerazione solo per le fasi precoci della gravidanza facendo attenzione a monitorizzare attentamente il feto per riconoscere eventuali bradicardie. Non esiste, invece, alcuna raccomandazione sui casi nella seconda parte della gravidanza,. Questo ha anche senso, perché a quel punto cerchi di portare fuori il feto e gestisci la cosa diversamente.
TERZO SCENARIO: Arresto in gravidanza da causa non-cardiaca
Due cose specifiche vanno dette per due casi particolari:
1) l’Embolia polmonare potenzialmente fatale;
2) lo STEMI.
Sappiamo che lo stato di gravidanza è un fattore di rischio per trombosi e tromboembolia. Le linee guida confermano che l’impiego dei fibrinolitici è appropriato, e le donne in gravidanza dovrebbero essere trattate secondo le linee guida normali.
Nel caso di STEMI, invece, i fibrinolitici sono relativamente controindicati in gravidanza, e per questo si dice che nel caso di STEMI/NSTEMI la PTCA è il trattamento di scelta. Quindi, se hai uno STEMI non devi usare i trombo litici, ma nel caso di una PE massiva potenzialmente letale, allora i benefici superano i rischi.
Fonte: http://www.medicinadurgenza.org |
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