Il comparto delle auto elettriche, nonostante le dimensioni ridotte, sta costantemente assumendo sempre più rilevanza nel mercato dell’automotive; sono molti i piani di governo che stanno promuovendo l’acquisto di auto elettriche per ridurre l’inquinamento generato dalle auto a benzina. Un aspetto che però non viene dibattuto è quello relativo alla sicurezza delle auto elettriche: le tecnologie con cui vengono assemblate sono davvero così sicure? Non c’è il rischio che la batteria possa esplodere mentre l’auto è in moto? Quali sono i rischi in cui incorriamo mentre ricarichiamo l’auto con la corrente elettrica? Il Dott. Guido Zaccarelli ha schiarito ogni nostro dubbio illustrandoci nel dettaglio tecnologie e processi di funzionamento delle tecnologie con cui vengono costruite le batterie delle auto elettriche.
Una delle nuove BMW i-3 in dotazione alla Polizia di Stato
prende fuoco sulla Salaria a Roma.
PREMESSA
Negli ultimi anni si sono diffuse in tutto il mondo, ed anche in Italia, autovetture alimentate grazie all’energia elettrica.
La diffusione di vetture elettriche non è affatto una novità. Ben prima che nel 1886 Karl Benz presentasse la prima autovettura dotata di motore a combustione interna, fra il 1830 ed il 1840 vennero presentati alcuni modelli di carrozza elettrica. Fino ai primi anni del 1900, erano molto più diffuse le auto elettriche rispetto alle auto con motore termico: dopodiché, grazie alla sua potenza, il motore a combustione interna si impose sempre più, nonostante fosse rumoroso ed inquinante.
Dopo un lungo periodo di declino e diversi modelli poco fortunati, le autovetture elettriche sono recentemente tornate alla ribalta, soprattutto a partire dal 1997 quando fu lanciato sul mercato il primo modello della Toyota Prius. Successivamente molti altri modelli, di molte case automobilistiche, sono comparsi: tanto che è impossibile elencarle tutte. È però possibile distinguere queste autovetture in tre grandi sottoinsiemi.
1) Vetture totalmente elettriche, cioè completamente prive di motore termico. Un esempio sono le autovetture Tesla. Le batterie si possono ricaricare unicamente ricorrendo a fonti di energia elettrica esterne, le cosiddette “colonnine” di ricarica.
2) Vetture elettriche con ricarica automatica delle batterie. Un esempio sono le autovetture Toyota, come la pioniera Prius. Si tratta di vetture che possiedono sia un motore termico alimentato a combustibili fossili (normalmente sono motori a benzina a ciclo Atkinson, in rarissimi casi motori a gasolio), sia un motore elettrico alimentato mediante batterie che si ricaricano utilizzando l’energia cinetica durante la frenata oppure, in caso di carica insufficiente, utilizzando l’energia prodotta dal motore termico. Spesso queste vetture sono chiamate “ibride” o HEV (hybrid electric vehicle).
3) Vetture elettriche plug-in, cioè dotate di motore termico e di motore elettrico alimentato a batterie che si possono ricaricare (anche o principalmente) mediante fonte di alimentazione esterna: le cosiddette “colonnine” di ricarica. Naturalmente nulla vieta che anche questi veicoli dispongano anche di altri sistemi per la ricarica delle batterie, come il recupero di energia in frenata tipico delle vetture HEV. Un esempio è la Chevrolet Volt, ma in questa categoria sono presenti modelli prodotti da molte case automobilistiche come Mitsubishi, Porsche, Honda, BMW, Ford, Volvo. Spesso queste vetture sono chiamate “ibride plug-in” o PHEV (plug-in hybrid electric vehicle).
Le colonnine di ricarica possono essere installate su suolo pubblico, cioè direttamente sulle strade oppure anche in altri luoghi pubblici come le autorimesse pubbliche, oppure in luoghi privati.
Purtroppo non si è ancora giunti ad uno standard fra i vari costruttori, a causa dei sistemi diversissimi utilizzati. Il sistema di ricarica ad induzione, tramite impianti senza fili a pavimento, è ancora allo stato di sperimentazione.
Attualmente sono presenti in Italia circa 1200 colonnine di ricarica, di 4 tipi principali che differiscono per connettori, voltaggio, amperaggio, sistema di autorizzazione alla ricarica e di contabilizzazione, ecc. e che conseguentemente presentano tempi necessari alla ricarica molto diversi fra loro.
LE BATTERIE
Le batterie utilizzate dalle autovetture elettriche utilizzano il medesimo principio della pila scoperto da Alessandro Volta nel 1799, cioè la conversione di energia chimica in energia elettrica. Ciò avviene mediante una reazione di ossidoriduzione nella quale una sostanza si ossida perdendo elettroni che transitano verso una seconda sostanza, producendo di conseguenza un flusso di elettroni fra le due sostanze attraverso un elettrolita, e quindi un flusso di corrente continua. Le due sostanze, per evitare il cortocircuito, sono tenute divise da un separatore. Il trucco è utilizzare batterie ricaricabili in modo che il processo non si esaurisca in una sola volta ma si possa ripetere molte volte.
Sebbene il principio di base sia rimasto lo stesso dalla sua invenzione, nel tempo si sono succedute numerose batterie di tipi molto diversi fra loro. Data la grande confusione su questo argomento, è necessaria una breve digressione sui tipi di batterie esistenti con la precisazione che, per evidenti ragioni di spazio, non è possibile trattare accuratamente tutti i numerosi tipi di batterie esistenti e tantomeno i numerosi tipi di batterie in via di sperimentazione. Ci limiteremo quindi soltanto a brevi cenni sulle caratteristiche delle batterie dei tipi più diffusi.
1) La pila alcalina è quella più comunemente utilizzata nei telecomandi e nei giochi per bambini. Inventate negli anni ’50 del 1900, utilizzano biossido di manganese e zinco metallico, immersi in un elettrolita formato da una gelatina alcalina a base di idrossido di potassio. Non sono utilizzate nelle vetture elettriche.
2) La batteria al nichel-cadmio NiCd, di aspetto simile alle batterie alcaline, utilizzate in settori particolari. Non sono utilizzate nelle vetture elettriche.
3) Batterie al piombo-acido: Si tratta di uno dei tipi più diffusi di batteria nel settore automobilistico: sono quelle utilizzate dai motori di avviamento per mettere in moto i motori termici delle vetture “normali”, ma sono anche usate come batterie di trazione nei mezzi di movimentazione (muletti, transpallet) nella logistica del settore industriale e commerciale, mezzi che non sono autorizzati a circolare sulle strade pubbliche. Non sono utilizzati come batterie di trazione in nessuna autovettura elettrica. L’anodo è in piombo, il catodo in diossido di piombo: il tutto è immerso in una soluzione elettrolitica acquosa, con aggiunta di acido solforico, proprio quella che ogni tanto ci costringeva (quando ancora esistevano le batterie non sigillate) al famoso rabbocco della batteria con l’acqua del benzinaio. Le batterie al piombo-acido, al termine della fase di ricarica oppure in caso di sovraccarica, generano ossigeno e idrogeno per elettrolisi della soluzione acquosa, che fuoriesce da appositi tappi sfogatoi: pertanto, è possibile la formazione di miscele esplosive, dato che come è noto l’idrogeno è un gas estremamente esplosivo, con ampissimo campo di esplosività (4-75%) e altissimo potere calorifico (circa 140 MJ/kg).
Basti ricordare il dirigibile tedesco Hindemburg, riempito di idrogeno, esploso negli Stati Uniti nel 1937. Ed infatti molte normative italiane in materia di prevenzione incendi impongono che i locali dove si effettua la ricarica delle batterie debbano essere in possesso di numerose caratteristiche, le principali delle quali normalmente sono:
a) Compartimentazione verso i locali adiacenti;
b) Impianto elettrico “speciale”;
c) Impianto di aspirazione meccanico delle esalazioni gassose prodotte durante la ricarica;
d) Aperture di aerazione permanente di adeguata dimensione, preferibilmente nella parte alta del locale visto che l’idrogeno è più leggero dell’aria. Le aperture servono per smaltire l’idrogeno ed evitare che la concentrazione possa arrivare a livelli pericolosi.
L’emissione di idrogeno e ossigeno in atmosfera è quindi una esclusiva delle batterie al piombo, e neppure di tutti i tipi di batterie al piombo oggi in commercio, ma solo delle batterie “di vecchio tipo”. Oggi infatti sono diffuse soprattutto batterie al piombo del tipo cosiddetto “stagno”, o senza manutenzione, che non necessita di rabbocco (anzi, il rabbocco è impossibile) e che durante la ricarica hanno emissioni in atmosfera trascurabili o nulle ed anzi sono spesso prive di tappi visibili. In queste batterie l’idrogeno e l’ossigeno generati dalla dissociazione dell’acqua vengono ricombinati internamente a ripristinare l’acqua che si era dissociata, in un circuito chiuso senza emissioni all’esterno. Esiste soltanto una valvola per lo sfogo delle extrapressioni dovute ad eccessiva ed errata sovraccarica, in casi del tutto eccezionali. Purtroppo, per una spiacevole carenza nella redazione di queste normative, non viene specificato che le prescrizioni di prevenzione incendi sopra richiamate hanno senso soltanto per le batterie al piombo di tipo tradizionale, visto che per altri tipi di batterie esse non trovano alcuna giustificazione. La conseguenza è che queste prescrizioni spesso vengono inesplicabilmente imposte anche per operazioni di ricarica di batterie non del tipo al piombo, che però non emettono alcun tipo di emissione gassosa durante la ricarica. Si noti che batterie al piombo-acido sono anche quelle normalmente utilizzate in elettronica e nei gruppi di continuità.
4) Batterie al nichel-metallo idruro NIMH – Una volta erano diffusamente utilizzate nelle vetture elettriche: le prime Prius avevano questo tipo di batterie, così come anche la Honda Insight. Oggi sono quasi completamente sostituite dalle batterie agli ioni di litio. Simili alle batterie al nichel-cadmio, dove l’anodo anziché essere cadmio è una lega, hanno capacità superiore rispetto alle Ni-Cd e l’effetto memoria è meno rilevante, ma rispetto alle batterie al litio hanno maggiore autoscarica e minore densità di energia.
5) Batterie agli ioni di litio Li-ion – Sono batterie ermeticamente sigillate: tutti i nostri cellulari e computer portatili hanno questo tipo di batterie, grazie all’ottimo rapporto peso-potenza, ad un effetto memoria molto ridotto ed anche ad una lentissima perdita di carica quando non in uso (autoscarica). Il vantaggio costituito dalla densità di carica elevata è però compensato dal costo e da una vita non lunghissima: si parla di mesi o al massimo di qualche anno. Ecco perché alcune marche di auto elettriche affittano i pacchi batteria ai clienti che acquistano le vetture. Queste batterie sono molto utilizzate anche come batterie di trazione nelle autovetture elettriche; dalle informazioni disponibili, le più diffuse batterie Li-ion non contengono metalli pesanti come piombo, cadmio o mercurio. Essendo ermeticamente sigillate, ovviamente le batterie Li-ion non emettono alcun tipo di gas durante la fase di ricarica.
6) Batterie ai polimeri di litio Li-pol – Sono una evoluzione delle batterie Li-ion, tanto che spesso vengono raggruppate nella stessa categoria: tipiche sono le batterie della Panasonic utilizzate dalle automobili Tesla. La principale differenza rispetto alle “classiche” batterie Li-ion è che l’elettrolita, anziché essere un solvente organico liquido, è un polimero solido: il vantaggio è che in tal modo l’elettrolita solido non è infiammabile e quindi le batterie sono meno pericolose in caso di danneggiamento accidentale. Inoltre è possibile realizzare batterie molto sottili.
Altri tipi di batterie sono in via di sperimentazione, come le batterie al litio-aria (molto promettenti), zinco-aria o al sodio-aria, o le batterie calde ai sali fusi (Ni-NaCl). Altre ancora sono già in uso ma non nel settore automobilistico, come le batterie argento-zinco utilizzate nei mezzi aerospaziali o nei sommergibili diesel-elettrici come quelli tedeschi del tipo U-212, realizzati su licenza anche in Italia per la Marina Militare Italiana.
Dato che le batterie durante l’uso e la ricarica possono riscaldarsi, spesso i pacchi batteria dispongono di sistemi per il raffreddamento, tipicamente pochi litri di acqua e glicole etilenico.
LA SICUREZZA DEI VEICOLI ELETTRICI
Attualmente in Italia non esiste alcuna normativa in materia di prevenzione incendi che si occupi esplicitamente di autovetture elettriche. Ciò è dovuto alla scarsa velocità con cui il legislatore reagisce alle novità introdotte dalla società civile, e comporta il pericolo che una eventuale futura regolamentazione renda improvvisamente irregolari alcuni dei sistemi e/o degli impianti attualmente già in funzione. Si confida quindi che il Ministero dell’Interno costituisca al più presto un gruppo di lavoro ad hoc, ovviamente con la presenza anche di esperti e di tecnici del settore e di una rappresentanza dei costruttori.
In ogni caso ritardi nella legislazione sono presenti anche all’estero: per esempio non risulta ancora definita la classe di rischio (Commodity Classification) delle vetture elettriche e/o delle batterie Li-ion secondo la NFPA 13, Standard for the installation of sprinkler systems.
Finora in Italia l’attenzione, anziché rivolgersi in modo complessivo all’intero problema del rischio incendio connesso alle autovetture elettriche, si è concentrata soltanto su due aspetti: il problema dell’intervento dei Vigili del fuoco sugli incendi di auto elettriche ed il problema della ricarica delle batterie.
Sul problema della ricarica delle batterie si è già detto: le batterie agli ioni di litio non funzionano come le tradizionali batterie al piombo e sono ermeticamente sigillate, quindi le prescrizioni di prevenzione incendi adottate per le batterie al piombo semplicemente non hanno senso.
Maggiore attenzione avrebbe potuto essere rivolta anche (o preferibilmente) verso altri bersagli.
Infatti dagli studi internazionali emerge che il problema principale in termini di rischio incendi per i veicoli elettrici risiede nel cosiddetto “thermal runaway”, cioè nel fatto che le batterie agli ioni di litio possono, in circostanze del tutto eccezionali, presentare un subitaneo ed inarrestabile incremento della temperatura, in una sorta di reazione a catena che porta alla rottura dell’equilibrio termico del sistema ed alla distruzione completa delle batterie e della vettura. Il flusso di ioni di litio da anodo a catodo (batteria in uso) oppure da catodo ad anodo (batteria in ricarica) può surriscaldare la batteria fino a far reagire l’elettrolita con altri elementi chimici presenti, aumentando ulteriormente la temperatura fino a produrre gas che aumentano la pressione interna producendo ulteriore calore. In condizioni normali questo aumento della temperatura è tenuto sotto controllo, ma in condizioni estreme o in presenza di gravi difetti di fabbricazione può crearsi un effetto a catena che può portare all’incendio della batteria ed alla produzione di fumo fuoriuscente dal pacco batterie. Dagli studi effettuati il problema principale risiederebbe in difetti di fabbricazione del separatore fra anodo e catodo, che deve evitare il verificarsi di cortocircuiti.
Occorre precisare comunque che il thermal runaway è un problema che si presenta soltanto in condizioni estreme. Ecco cosa si può leggere sul manuale della Tesla Model S:
“Under normal usage, lithium-ion cells do not evolve gases. Lithium-ion cells will only emit gases if severely abused: for example if severely crushed, heated to more than 150°C for an extended time, or severely overcharged. Tesla batteries include multiple layers of protection to prevent abnormal charging. These protections include electronics to detect and prohibit overcharging, mechanical fuses to isolate cells, and a mechanical charge interrupt device within each cell that permanently disables a cell upon overcharge.”
Tesla precisa che il runaway potrebbe avvenire se le batterie sono conservate a più di 80°C per più di 24 ore, o a più di 150 °C per alcuni minuti, o se le batterie sono esposte a fiamma diretta. Non proprio condizioni comuni.
Il vero problema è che, nella frenetica ricerca di batterie sempre più capienti e/o più piccole, si è cercato nel tempo di ridurre al minimo le dimensioni dei separatori. Recentemente si è molto parlato sui media del problema presentato da un telefono cellulare, il Samsung Galaxy Note 7, dotato di batterie Li-ion che prenderebbero fuoco inspiegabilmente. Dalle prime notizie disponibili, pare si tratti di un difetto di fabbricazione presente soltanto su circa 24 pezzi ogni milione, e che riguarderebbe proprio il separatore fra catodo ed anodo.
Va infine precisato che le batterie al nichel-metallo idruro NIMH non presentano il medesimo pericolo di thermal runaway delle batterie agli ioni di litio, che però sono ormai molto più diffuse, e che le batterie Li-pol in caso di thermal runaway presenterebbero conseguenze di minore intensità, poichè l’elettrolita non è liquido bensì solido. Insomma, il thermal runaway è un problema che esiste ma che non riguarda in uguale maniera tutte le vetture elettriche.
CASI DI INCENDI DI VETTURE ELETTRICHE
In Cina nel 2012 si è avuto uno dei primi casi di runaway, dovuto a difetti di fabbricazione delle batterie e a materiali scadenti. Diversi altri incidenti sono avvenuti successivamente. Alcuni incendi hanno coinvolto vetture Tesla, con grande risalto sulla stampa, nonostante occorra precisare che il numero di vetture Tesla bruciate sia tutt’altro che significativo rispetto al numero di vetture in circolazione: forse il risalto è dovuto all’elevato prezzo della vettura.
A seguito di questi incidenti, la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), un’agenzia federale statunitense, ha condotto uno studio sul rischio incendio connesso alle batterie agli ioni di litio. Un’interessante presentazione tenuta a Washington il 18 maggio 2011 da David Howell del US Department of Energy, ha concluso che le condizioni anomale che possono condurre al thermal runaway sono tre:
1) urti meccanici;
2) problemi elettrici (cortocircuito, sovraccarica, eccessiva scarica);
3) problemi termici (eccessivo riscaldamento dovuto a cause interne oppure a cause esterne).
Fra questi, il pericolo connesso a forti urti meccanici è di gran lunga il maggiore. Il principale problema di tipo elettrico è l’uso di materiali scadenti o trasformazioni effettuate dopo la produzione in fabbrica (per esempio veicoli nati HEV e successivamente trasformati in PHEV), aspetti che però non riguardano le maggiori case automobilistiche. Uno dei problemi maggiori di tipo termico è legato al cortocircuito, in particolar modo a causa del separatore fra anodo e catodo.
È interessante notare che è emerso che gli eventi termici sono subdoli in quanto possono anche apparire risolti ma continuare in modo occulto e riproporsi dopo diverso tempo, addirittura dopo più giorni; per la limitazione del danno è cruciale che ai soccorritori venga consentito un rapido accesso al pacco batterie.
CONCLUSIONI
L’analisi degli incendi che hanno coinvolto le autovetture elettriche indica un tasso di incidentalità minimo, quasi completamente dovuto a incendio prodottosi a seguito di un grave incidente stradale. In alcuni casi ciò ha indotto i costruttori a proteggere maggiormente i pacchi batteria dai possibili urti esterni.
General Motors nel 2012 ha proposto ai clienti della Chevrolet Volt un pacchetto di interventi di miglioramento volti a proteggere meglio le batterie ed il sistema di raffreddamento delle batterie in caso di incidente grave.
Nel 2013, la NHTSA ha aperto un’indagine ufficiale sulla Tesla Model S, dopo che un gancio metallico perso da un mezzo transitato in precedenza aveva urtato in autostrada contro il pacco batterie, causando un danneggiamento seguito da un incendio: l’auto aveva correttamente segnalato il problema, il guidatore aveva arrestato la vettura ed era sceso incolume ma la vettura era rimasta parzialmente danneggiata dall’incendio.
A seguito di questo incidente, Tesla ha introdotto una modifica al software in modo da alzare leggermente l’altezza del pianale del Model S a velocità autostradale, in modo da ridurre la probabilità di urti fra oggetti sulla strada ed il pacco batterie.
Dal 2013 il Model S dispone di uno scudo in titanio sotto le batterie e di deflettori in alluminio per evitare che oggetti sulla strada possano urtare il pacco batterie, e per le vetture costruite prima di tale data le nuove protezioni sono installate gratuitamente a richiesta o in occasione del primo intervento di manutenzione.
In altri casi di incendio, si è risaliti a cause diverse, anche bizzarre, come vetture trasformate in modo inappropriato in elettriche successivamente alla produzione oppure, come è avvenuto in Cina, vetture dotate di batterie di qualità insufficiente, con insufficiente isolamento termico. Dopo l’uragano Sandy, nel 2012, diverse vetture elettriche presero fuoco mentre erano parcheggiate su un molo nel New Jersey. Si trattava di alcune Prius e di ben 16 Fisker Karma. L’indagine rivelò che gli incendi erano dovuti a cortocircuito dovuto alla corrosione salina: le auto erano rimaste sommerse in acqua salata per molte ore.
Altri incendi sono legati a banali difetti elettrici nell’impianto di ricarica, come il malfunzionamento di un fusibile nell’apparato di ricarica.
In conclusione, è vero che alcune autovetture elettriche sono state coinvolte in incendi, ma il numero di tali eventi appare molto basso e causato in gran parte da incidenti stradali. L’enfasi che molti media hanno dato a tali eventi non appare completamente giustificata, ed è probabilmente legata al fatto che questi veicoli sono ancora percepiti come una novità, in alcuni casi anche molto costosa. Le agenzie pubbliche, in particolare la NHTSA statunitense e la AIBN norvegese che hanno indagato su incendi di vetture elettriche, hanno concluso che non sussistono particolari condizioni di rischio incendio connesso alle auto elettriche. Gli stessi costruttori di vetture elettriche sono stati molto solleciti nel produrre documenti inerenti la sicurezza antincendio dei loro prodotti, nell’aggiornare periodicamente tali documenti sulla base delle nuove esperienze e nell’installare nuovi dispositivi sulle vetture, come schermi protettivi aggiuntivi.
Se si considera il numero di batterie agli ioni di litio in circolazione nel mondo (milioni e milioni, installate, più che sulle vetture elettriche, nei cellulari e nei computer portatili), il rischio di incendio di queste batterie è da considerare trascurabile.
Le stesse operazioni di ricarica delle batterie, beninteso del tipo agli ioni di litio o al litio-polimero, non presentano alcun tipo di emissione gassosa pericolosa e quindi non necessitano dei particolari accorgimenti che tradizionalmente erano richiesti per la ricarica delle “vecchie” batterie al piombo.
Solo in rari casi, spesso dovuti a banali difetti elettrici dell’impianto di ricarica, si sono verificati incendi durante la ricarica delle batterie.
Secondo la National Fire Protection Association statunitense (NFPA) ogni anno negli Stati Uniti si verificano circa 150.000 incendi di autovetture. Altri studi indicano un numero più vicino a 300.000 incendi/anno (naturalmente queste differenze dipendono da come si definiscono le categorie statistiche). Sia come sia, ogni anno gli incendi di vetture elettriche si contano sulle dita di una mano.
Le vetture elettriche sono ancora guardate come una novità. I dati disponibili in materia di rischio incendio delle vetture elettriche sono da considerare provvisori e dovranno essere verificati negli anni a venire. Tuttavia, dai dati attualmente disponibili, il rischio di incendio delle vetture elettriche non sembra presentare livelli più elevati rispetto alle tradizionali vetture alimentate con combustibili fossili.
Fonte: http://antincendio-italia.it |
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