La sindrome da schiacciamento o Crush Syndrome si caratterizza con una compressione prolungata su una parte del corpo, uno stato di shock ed una nefropatia acuta.
Tra le circostanze nelle quali si possono verificare sindromi di tale tipo ci sono incidenti sul lavoro, esplosioni in miniera, demolizioni, terremoti, valanghe di neve o di fango,crolli.
Bisogna aggiungere che sindromi di questo tipo sono state osservate come conseguenza di posture prolungate nei tossicodipendenti in overdose, in questi casi gioca un ruolo importante anche l’ipotermia.
Le lesioni che si osservano sono a carico degli arti interessati, dove la compressione prolungata provoca una miolisi diretta con liberazione di potassio, enzimi proteolitici, mioglobina. Contemporaneamente la compressione provoca una ischemia dei territori a valle. In questi distretti l’ischemia tissutale induce la formazione di acido lattico per blocco del ciclo di Krebs, aumento della glicogenolisi, alterazione della permeabilità cellulare con conseguente edema cellulare, liberazione di istamina, serotonina e chinine che portano ad un edema interstiziale. Tutti questi fattori hanno come effetto ultimo una ipovolemia che evolve verso lo shock ed un edema che restando limitato all’interno delle fasce muscolari aggrava la compressione e l’ischemia.
Le lesioni renali sono dovute per alcuni autori alla precipitazione a livello renale dei pigmenti emoglobinici, mentre per altri alla ischemia corticale.
Il quadro clinico varia se prevalgono le lesioni dirette oppure le lesioni ischemiche. Da lesioni dirette estese si liberano sostanze tossiche con una evoluzione del quadro clinico drammatica se non vengono esclusi i territori danneggiati. Se sono preponderanti le lesioni ischemiche il quadro dipende dai tempi di compressione e dalla estensione dei territori interessati.
Resta comunque evidente che i problemi compaiono alla liberazione dalla compressione e in maniera più o meno rapida.
La sindrome da schiacciamento è, quindi, una situazione particolare in cui la strategia di trattamento è preponderante nella misura in cui la cronologia del trattamento modifica l’evoluzione del quadro clinico.
Il trattamento va iniziato sul posto prima, durante e dopo la liberazione. La medicalizzazione va iniziata subito o, comunque appena è possibile accedere all’infortunato. Bisogna assicurarsi un buon accesso alla testa per assicurare la pervietà delle vie aeree ed avere la possibilità di attuare una ossigenoterapia ed un buon accesso ad un arto per poter disporre di una o due vie venose.Prima di estrarre l’infortunato dalle macerie o dai pesi che lo bloccano e costringono, bisogna apporre un laccio emostatico a monte della parte schiacciata per prevenire l’imponente emorragia che ne consegue e per arginare l’entrata in circolo della mioglobina.
Si distinguono un trattamento generale e uno locale. Il trattamento generale ha come scopo principale il controllo dell’iperkaliemia e la prevenzione della insufficienza renale. Il pericolo più importante è la liberazione di potassio e l’acidosi.
La scomparsa della mioglobina e la normalizzazione della potassiemia indicano l’interruzione della terapia.
Il trattamento del dolore dove essere preso in considerazione. Le anestesie loco-regionali possono essere utilizzate negli schiacciamenti isolati di un arto, un blocco plessico per un arto superiore od un blocco tre in uno per un arto inferiore.
L’assistenza respiratoria si avvale di gesti molto semplici come il posizionamento di una maschera antipolvere durante le manovre di liberazione o di una ossigenoterapia per maschera o sondino nasale.
Tra le cure locali, uno dei problemi più discussi è il posizionamento di un laccio alla radice dell’arto interessato.
La possibilità di instaurare misure di rianimazione precocemente permette di evitare l’uso del laccio, ma se la rianimazione è tardiva, la compressione prolungata nel tempo è suscettibile di durare ancora a lungo, se lo stato di shock persiste nonostante le terapie e se le lesioni all’arto sono irreversibili o se si intravede la necessità di una amputazione di salvataggio, si dovrà porre un laccio alla radice dell’arto. Queste rimangono le indicazioni all’uso del laccio.
L’amputazione va presa in considerazione in casi con compressione prolungata oltre le 9 ore con lesioni locali importanti e al di sotto delle 9 ore per la persistenza dello shock, l’aggravamento della IRA con elevazione di potassemia ed azotemia.
Altre considerazioni da fare nel trattamento precoce sono la immobilizzazione dell’arto, la protezione termica, la protezione psicologica dell’infortunato.
Durata della compressione tra 4 e 8 ore. Possibilità di controllo clinico. Via venosa incannulata prima dell’estrazione. Miglioramento rapido dello shock | No laccio emostatico prima dell’estrazione. Sedazione. Proseguire riempimento vascolare. Alcalinizzazione dopo estrazione.Immobilizzazione. Protezione termica | Oltre parametri vitali, sorvegliare parametri emodinamici e diuresi. Proseguire terapia |
Impossibilità di trattamento in situ. Nessun miglioramento dello shock | Laccio emostatico prima dell’estrazione. Via venosa. Riempimento vascolare. Alcalinizzazione. Sedazione.Immobilizzazione. Protezione termica | |
Durata della compressione oltre 8/9 ore quadro cinico di shock. Possibilità o meno di trattamento in situ | A seconda dei casi porre il laccio prima o dopo l’estrazione.Via venosa. Riempimento vascolare. Alcalinizzazione. Sedazione.Immobilizzazione. Protezione termica. Ossigenoterapia. Eventuale amputazione. | Evacazione dopo aver stabilizato i parametri.Oltre parametri vitali, sorvegliare parametri emodinamici e diuresi. Proseguire terapia |
Fonte: http://www.emergencyroom.it |
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